Home About International University Project Conferences Courses Lectures Projects Publications Readings Contribute Contact      

home \ associazione thomas international \ questioni di bioetica \ maggio 2007 \ f. ferrara - la proposta di legge sulle unioni di fatto ...

Home

Redazione

Presentazione

Numero in corso

Archivio

Informazioni bibliografiche

Rassegna stampa

Contatti

Link utili

 

ISSN 1970-7932

Associazione Thomas International
Num. 3 - Maggio 2007 
     
 

La proposta di legge sulle unioni di fatto

Brevi considerazioni giuridiche

di Francesco Ferrara*

 

 

 

Il tema della regolamentazione delle unioni di fatto – eterosessuali ed omosessuali – costituisce attualmente una questione molto dibattuta nel panorama politico italiano, ed il governo, come è noto, ha messo in agenda la valutazione di un intervento legislativo.

Da quanto si apprende dalla stampa nazionale e dai dibattiti televisivi, la questione sembra che venga impostata in termini di sostanziale contrapposizione tra  diverse culture: in particolare quella cattolica e quella c.d. laica.

Questa impostazione del problema, tuttavia, rischia di falsare i reali termini della questione, fornendo un’immagine distorta della realtà. Il messaggio che viene frequentemente diffuso è quello che identifica tout court il matrimonio con un sacramento della Chiesa Cattolica, dimenticando che il matrimonio è, anche, un istituto regolato dal diritto civile. Non appare, a tal proposito, superfluo ricordare che il nostro ordinamento giuridico contempla essenzialmente due tipi di forme di celebrazione del matrimonio: quello c.d. Concordatario e quello civile. Il primo consente ai cattolici di celebrare il matrimonio dinanzi al sacerdote, e qualora trascritto, produce effetti civili. L’altro, quello c.d. Civile, invece, viene celebrato innanzi al Sindaco o ad un suo delegato, e nessuna professione di fede viene richiesta agli sposi.

Alla luce di quanto esposto, pertanto, è da ritenersi che la riflessione sul tema matrimonio ed unioni di fatto vada condotta in modo diverso. Una possibile via da percorrere potrebbe essere quella di analizzare il tema della regolarizzazione delle unioni di fatto tentando di ragionare in termini diversi da quelli di un conflitto culturale: laici contro cattolici conservatori.

Per comodità espositiva appare più opportuno analizzare, dapprima, il profilo delle unioni di fatto eterosessuali, per poi passare a riflettere su quelle omosessuali. La prospettiva dalla quale si muove è quella di indagare sulla “ratio” della normazione giuridica del “fatto” matrimoniale da parte di un ordinamento giuridico civile. In altri termini occorre chiedersi: perché uno Stato si preoccupa di intromettersi con le sue leggi nella vita di due persone che vogliono vivere insieme e dar vita ad una famiglia? Anticipando i risultati cui si è pervenuti in questa breve riflessione sembra che la chiave di lettura dell’intervento giuridico statale sia da rintracciare nella esigenza di certezza dei rapporti giuridici. Il quadro normativo sembra confermare questa affermazione.

Il codice civile (articoli 79 e seguenti) disciplina il matrimonio. Tuttavia, non c’è una definizione di matrimonio ma alla celebrazione civile del matrimonio o alla trascrizione di quello religioso (rectius: concordatario) vengono ricollegate delle conseguenze nel rapporto tra i coniugi, nei confronti dei figli e dei terzi (regime patrimoniale dei coniugi).

Vediamo più da vicino alcune conseguenze giuridiche collegate alla ufficializzazione del rapporto tra due persone di sesso diverso.

a) nel rapporto con i figli: la Costituzione Italiana  impone l’obbligo dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio, tuttavia il legislatore non può ignorare la differenza di situazioni: nel caso di figlio nato durante il matrimonio c’è una presunzione di paternità (art. 231 codice civile), quando il figlio nasce fuori del matrimonio occorre un atto di riconoscimento da parte del padre. Non mi sembra che sia una discriminazione dal sapore arcaico e conservatore, ma una naturale conseguenza del fatto che il matrimonio è stato trascritto.

b) in caso di morte di uno dei due coniugi, la Corte Costituzionale ha negato al partner convivente l’assimilazione al coniuge ai fini della c.d. successione legittima all’eredità. A differenza del coniuge, il convivente non ha diritto ad ereditare automaticamente il patrimonio del defunto. Anche qui non c’è una volontà di discriminazione ma sono le ragioni di certezza del diritto successorio che impongono che la categoria dei soggetti cui deve necessariamente spettare una parte del patrimonio del defunto sia individuata con sicurezza a priori.

c) nei rapporti con la giustizia penale – ad esempio – il fatto che vi sia un matrimonio trascritto costituisce presupposto per l’applicazione di una norma: quella che esclude la punibilità del coniuge non separato che abbia sottratto denaro all’altro coniuge (art. 649 codice penale). Più semplicemente: se la moglie prende 100 euro dal portafoglio del marito, a sua insaputa, questi non potrà denunciarla per furto. Per ben due volte la Corte Costituzionale (nel 1998 con la sentenza n. 299 e nel 2000 con la sentenza n. 352) ha rifiutato di dichiarare la norma illegittima, perché nelle ipotesi di convivenza, si legge nella sentenza, l’affectio è revocabile in qualsiasi momento. In entrambi i casi era stato chiesto alla Corte Costituzionale di dichiarare la illegittimità dell’art. 649 del codice penale nella parte in cui non estende l’ipotesi di non punibilità anche ai conviventi. Più in particolare si trattava di fattispecie di furto operate dal coniuge divorziato in un caso, e da un fratello nei confronti della sorella, in un’altra fattispecie.

d) un ultimo esempio – ma se ne potrebbero fare altri – è dato dal testo unico sull’autocertificazione (d.p.r. n.445/2000). L’art. 4, comma secondo, prende in considerazione l’ipotesi in cui chi deve rendere una dichiarazione si trovi in una situazione di impedimento temporaneo, in questi casi la dichiarazione può essere sostituita dal coniuge o da altro parente. Soggetti tra i quali vi sia un rapporto certo.

Da questa breve disamina emergono delle differenze di trattamento giuridico tra le coppie sposate e quelle conviventi. La logica della convivenza non è forse quella di non imprimere il crisma della certezza giuridica ad un rapporto tra due persone? Ciò premesso, appare quantomeno arduo comprendere le ragioni di questa campagna c.d. laica a favore di chi non vuole sposarsi.

L’obiezione frequente che la registrazione delle coppie conviventi serva ad eliminare le differenze non appare, invero, persuasiva. Si vuole imporre la certezza giuridica a chi sceglie di vivere nell’assenza di regole giuridiche.

È spontaneo chiedersi: se le convivenze vengono registrate queste non diventano sostanzialmente matrimoni? Questa domanda sintetizza altri dubbi: la registrazione della convivenza è consensuale? La risposta non può che essere positiva. In caso di cessazione della convivenza registrata come si regolano i rapporti tra i conviventi registrati e con i figli? Si applicano le regole sulla separazione? Se così è, appare ancora più difficile trovare la vera linea di discrimine tra un matrimonio civile e un’unione civile. Per chi vuole certezze esiste già il matrimonio civile.

A questo punto è lecito sospettare, come hanno fatto in molti, che questa manovra politica miri unicamente a consentire l’equiparazione delle coppie eterosessuali e coppie omosessuali.

Anche per quanto concerne questo aspetto è bene prescindere da ogni valutazione morale e concentrarsi su quelle giuridiche e politiche.

Il punto richiederebbe ampi approfondimenti. I valori di solidarietà tra due persone, anche dello stesso sesso, possono già in atto essere garantiti mediante contratti (es. la rendita, la cointestazione di un immobile), donazioni, testamenti. L’orientamento sessuale – come viene definito dai sostenitori delle unioni omosessuali – non esclude la possibilità che l’uno benefici economicamente l’altro. Le differenze maggiori si notano nel rapporto con il “pubblico”. Qui occorre operare una distinzione tra i profili di solidarietà umana e quelli economici.

            Nel primo aspetto rientrano i problemi quali il diritto di visita in ospedale, il diritto di visita in carcere, la facoltà di prendere decisioni in caso di malattia. Il punto è molto interessante, ma agevolmente distinguibile da altri aspetti.

Iniziamo con quei diritti a contenuto non economico: il diritto di visita, ad esempio, potrebbe e dovrebbe trovare una specifica normazione che prescinda non solo dagli orientamenti sessuali, ma dal fatto stesso della convivenza. Se ben riflettiamo può essere un problema anche degli eterosessuali. Si pensi a quelle persone, non sposate, non conviventi, sole al mondo, che abbiano un forte rapporto di amicizia e solidarietà con un’altra persona, ed il cui rapporto prescinda dal reciproco interesse sessuale. Sarebbe auspicabile che il legislatore desse la possibilità a chiunque di indicare la persona “cara” dalla quale si vuole essere assistiti, senza indagare sulla loro vita intima.

Diverso invece è il profilo che può definirsi economico-collettivo, come chiedere benefici allo Stato o ad altri soggetti pubblici: benefici fiscali, assegnazione di alloggi popolari, pensioni di reversibilità solo per citarne alcuni. Qui la differenza tra eterosessuali coniugati e coppie omosessuali è forte. Questo è un fatto innegabile ed evidente, ma bisogna chiedersi se sia anche irragionevole. Assumere il ruolo di giudice della ragionevolezza non è compito semplice, pertanto appare preferibile concludere esponendo alcuni dubbi: le coppie omosessuali registrate saranno equiparate a quelle eterosessuali per l’assegnazione di case popolari, di benefici economici? Le coppie eterosessuali accetteranno la concorrenza dinanzi allo Stato delle coppie omosessuali? In caso di avvicinamento della sede lavorativa a quella di uno dei “coniugi”, sono sullo stesso piano i due tipi di coppie? La questione meriterebbe più attenzione di quella che, invece, si sta ponendo attualmente. Questa equiparazione tra situazioni totalmente diverse (coppie eterosessuali e coppie omosessuali) sembra che risponda più ad una ostentazione di visibilità da parte delle lobby omosessuali che al loro reale interesse a non essere discriminati.

Concludendo, non appare eccessivamente pessimista affermare che la concorrenzialità delle coppie omosessuali potrebbe suscitare fenomeni di intolleranza nei loro confronti, che mal si conciliano con il sentimento di rispetto che dovrebbe accomunare cattolici e laici nei confronti di queste persone.

 

* Dottorando in Diritto Pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo

 
     
     
 
 
Confezionando