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Barcellona

20-25 Settembre 2005

 
 
     
 

Law and Liberty:

Ethics and Politics for the XXI Century

 
 
 
     
 

 

Diritti umani, diritto umanitario ed Unione Europea

 

 

 

Nicoletta Giganti

Thomas International University

 

 

 

In questo articolo, mi concentrerò sulla graduale  trasformazione dell’Unione Europea da comunità economica a comunità politica. In tale processo evolutivo il riconoscimento dei diritti umani è stato una svolta decisiva. Per ragioni che poi spiegherò, esso ha dato vita ad una relazione, seppur minimale, di amicizia politica tra i singoli membri della comunità europea sulla quale si è costruita l’identità della comunità ed il senso di appartenenza ad essa.

Mi soffermerò su alcune riforme istituzionali che hanno reso più coesa la comunità e sulla politica europea di aiuto umanitario che ne rispecchia i valori e l’identità.

 Purtroppo, nonostante i progressi compiuti, la legislazione europea resta contraddittoria ed incoerente. Questo è un punto di forte debolezza che mina le fondamenta della comunità politica europea.

 

 

1. Diritti umani e Unione europea

I Trattati istitutivi delle Comunità Europee non contenevano nessun riferimento alla tutela dei diritti umani. Al contrario, nel Trattato di Roma (1957) la Comunità Europea era qualificata quale Comunità Economica. Essa si formava inizialmente per perseguire un obiettivo specifico: la creazione di un mercato unico.  Era, tuttavia, chiaro che questo tipo di interazione non fosse adeguato alla formazione di una «comunità profonda», basata sulla «solidarietà»[1], cui i Padri fondatori si erano ispirati.

Questo aspetto era chiaro, invece, alla sensibilità della Corte di Giustizia che, fin da subito, pose le premesse per la creazione di una comunità più matura, dotata di proprie regole e di capacità autonoma di decisione, fondata sul bene comune. La Corte di Giustizia, portando l’attenzione da settori specifici dell’economia ai diritti dei cittadini, anticipava i futuri sviluppi della Comunità Europea.

 Dopo avere affermato, da una parte, l’efficacia diretta delle norme comunitarie, rendendole così idonee a creare posizioni giuridiche soggettive per i cittadini[2], e, dall’altro, il primato di tali norme sul diritto nazionale[3], la Corte poneva la necessità della  tutela dei diritti fondamentali. Con la celebre sentenza Stauder[4], la Corte di Giustizia inaugurava una serie di decisioni nelle quali essa stessa si faceva garante di tali diritti.

 Con l’adozione dell’Atto Unico, i diritti umani fanno il loro ingresso ufficiale nel sistema comunitario. Con esso, gli Stati membri dichiarano di essere decisi a «promuovere insieme la democrazia basandosi sui diritti fondamentali sanciti dalle Costituzioni e dalle leggi degli Stati membri, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e della Carta sociale in particolare la libertà, l’uguaglianza e la giustizia sociale. Con il  Trattato di Maasticht (1992), poi,  la CEE diventa semplicemente la «Comunità europea» (CE). Inoltre, il nuovo Trattato crea l’Unione Europea (UE) e impartisce agli Stati membri una serie di ambiziosi obiettivi. Esso riconosce la cittadinanza europea e rende effettiva la tutela dei diritti umani all’interno dell’ordinamento comunitario. Il Trattato di Amsterdam (1997) rafforza in misura considerevole lo status di cittadino europeo fondando l’Unione «sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, princìpi che sono comuni agli Stati membri»[5]. Cosa ancor più importante, tale trattato fissa nel rispetto dei diritti umani il limite per l’adesione all’Unione di altri Stati come membri.

Più recentemente, la Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza (2000), e l’inserimento di essa nella Costituzione europea confermano che la via seguita per lo sviluppo della Comunità Europea è l’affermazione dei diritti umani.

 Il fine della Comunità Europea si focalizza, oggi, non più su un interesse particolare ma sulla condivisione del bene comune.

Il graduale riconoscimento dei diritti umani, infatti, ha allontanato l’Unione Europea dal suo originario assetto economico e ha dato vita ad una relazione di amicizia politica tra i singoli membri della comunità europea: una relazione che trova la sua radice nella natura dell’uomo.

 Il rapporto tra amicizia e comunità politica è più chiaro nel pensiero classico che in quello moderno. Mentre, infatti, secondo alcune teorie contrattualiste, la comunità politica si fonda su un atto di volontà, nel pensiero classico essa si fonda sulla natura umana e sulla sua inclinazione all’amicizia. «Nessuno sceglierebbe di vivere senza amici anche se fosse provvisto in abbondanza di tutti gli altri beni»[6]. L’uomo, infatti, non può bastare a se stesso. Secondo questa prospettiva, la comunità politica nasce e si sviluppa per il conseguimento della piena realizzazione umana, materiale e spirituale. Ciò implica il riconoscimento di una serie di beni umani che sono tali, cioè beni, per tutti i membri della comunità. «L’amicizia, infatti, è comunione […]. Tutti gli uomini […] volendo, infatti, vivere con gli amici, fanno e mettono in comune le cose in cui, secondo loro, consiste la vita»[7]. Questa forte condivisione crea un rapporto di amicizia su cui si edifica e si struttura la vita politica per il perseguimento del bene comune.

Identità e senso di appartenenza distinguono la comunità politica dalle altre forme di comunità.

 

2. Unione Europea e diritto umanitario

 Il diritto internazionale umanitario viene usualmente definito come «l’insieme dei princìpi generali, delle norme e consuetudini dirette a proteggere tutti quanti gli esseri umani che si trovano in situazioni di grave emergenza dovute ai fatti dell’uomo o ad eventi naturali».[8]

Benché il diritto umanitario si applichi in condizioni di emergenza, esso, al pari dei diritti umani, si fonda sull’esigenza di favorire gli aspetti fondamentali della fioritura umana, primi fra tutti la salvaguardia della vita e dell’integrità fisica e morale di tutte le persone. L’amicizia si fonda sul desiderio di aiutare l’amico a realizzare gli aspetti fondamentali della vita umana. Da questo punto di vista, la politica europea di aiuto comunitario rispecchia quei valori sui quali si fonda l’identità politica europea e che sono dichiarati nella stessa Costituzione: il diritto alla vita e alla tutela della dignità, la solidarietà e l’uguaglianza.

Ne seguiremo brevemente gli sviluppi, senza nessuna pretesa di completezza, sino al regolamento comunitario 1257/96 che istituisce l’Ufficio umanitario della Comunità Europea: un ufficio alle dirette dipendenze della Commissione europea.

L’UE ha gradualmente fatto dei diritti umani una questione di primo piano nelle sue relazioni con altri paesi e altre regioni, tanto da farne un elemento essenziale di tali relazioni. Ciò è particolarmente evidente nel caso dell’accordo di Cotonou,  l’accordo in materia commerciale e di aiuti che lega l’Unione europea a 78 paesi in via di sviluppo dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (il gruppo ACP). Il mancato rispetto dei diritti umani da parte di uno di questi paesi può comportare la sospensione delle concessioni commerciali e la riduzione dei programmi di aiuto.

La tutela dei diritti umani è da sempre stata al centro della PESC (Politica estera e di sicurezza comune) e della PESD (Politica per lo sviluppo). Tuttavia, la Comunità Europea ha incontrato un ostacolo nella difficoltà di coniugare le politiche nazionali dei singoli Stati membri.

Un esempio è dato dalla profonda frattura tra gli Stati membri dell’UE rilevata nella primavera 2003 sull’opportunità che il Consiglio di sicurezza dell’ONU autorizzasse la guerra condotta dagli americani in Iraq.

Da questo punto di vista, il regolamento 1256/96 è stato un punto di svolta decisivo. Esso, istituendo un ufficio umanitario alle dirette dipendenze della Commissione europea, ha reso unitaria la politica europea e ha creato una maggiore coordinazione dell’azione comunitaria per l’attuazione dei diritti umani, ritenuti universali ed indivisibili.

In particolare, tra le azioni comunitarie di aiuto umanitario condotte tramite ECHO, ricordiamo quelle per il terremoto e per l’inondazione in India, nel 2001, quelle in soccorso dei popoli coinvolti nei conflitti bellici nei Balcani, in Africa e in territorio palestinese. È stato anche prestato aiuto alle popolazioni in Medio Oriente e in Afghanistan.

La Comunità Europea, tramite l’ECHO, si volge al di fuori dei proprio confini con un’unica voce, rispecchiando un’unica identità in cui i singoli membri si riconoscono. La Comunità Europea parla con autorità.

 

3. Unione europea e comunità politica

Anche da un punto di vista istituzionale, alcune riforme hanno reso la comunità politica europea più coesa.

L’ampliarsi delle competenze europee ha reso necessaria una maggiore coordinazione delle azioni dei singoli in vista del bene comune.

 Ad ogni tappa che ha segnato l’integrazione europea, infatti, la questione della legittimità democratica si è imposta all’attenzione in modo sempre più forte. Sotto questo punto di vista, due eventi sono particolarmente significativi: da un lato, l’elezione diretta dei deputati europei e la formazione di veri e propri partiti politici in seno al Parlamento europeo, che ne hanno fortemente accresciuto la democraticità; dall’altro, il riconoscimento del principio di sussidiarietà, che, accolto per la prima volta nel Trattato di Maastricht, ha reso più unitaria l’azione politica europea. Può essere interessante notare, a questo proposito, il ruolo sempre maggiore assunto dai Comitati rappresentativi dei singoli interessi dei cittadini nella definizione e nella presentazione delle politiche europee. Mi riferisco al Comitato delle Regioni, al Comitato economico-sociale ed alle varie associazioni sociali e religiose, che oggi trovano un riconoscimento ufficiale nella Costituzione Europea.

Alla luce delle riforme a cui ho brevemente accennato, può essere ragionevole dire che lo sviluppo politico della comunità è andato di pari passo con il formarsi della sua autorità.

  In ogni comunità, la coordinazione dei singoli membri si può avere tramite l’unanimità o tramite l’autorità[9]. In una comunità complessa come quella europea l’unanimità sarebbe impraticabile. L’autorità nasce e si sviluppa, dunque, per la realizzazione del bene comune e rispecchia i valori della comunità. Si può dire, in questo senso, che l’autorità consente ad ognuno di perseguire il proprio bene.   

Ciò implica due considerazioni. Prima di tutto che l’autorità politica non può essere neutrale nei confronti del bene e, secondo, che essa è riconosciuta tale solo sulla base di questo rapporto di riconoscimento e guida: «Quando invece tali rapporti sono determinati non in questo modo, ma solo in forza della legge e della violenza, è tutto il contrario»[10].

Queste considerazioni sollevano la questione del rapporto tra comunità ed autorità e di cosa si debba occupare l’autorità politica. In questa sede, basti ricordare che il dibattito filosofico politico assume posizioni diverse.

 Da un lato, vi è la posizione, riconducibile al pensiero liberale moderno, di chi è scettico riguardo alla possibilità che esistano beni universali e che ritiene che l’autorità politica debba solo garantire a ciascuno di trovare il proprio bene individualmente. D’altro lato, vi è la posizione riconducibile  alla tradizione classica, che fonda il suo pensiero sull’esistenza di beni umani intelligibili e desiderabili da ogni individuo per la propria fioritura. Da questo punto di vista, l’autorità deve guidare i singoli nella realizzazione di ciò che è bene per ciascuno.

L’aborto o la clonazione di esseri umani sono un bene? Il matrimonio tra coppie omosessuali favorisce il benessere dell’uomo? Queste sono solo alcune delle domande con cui si deve confrontare oggi l’autorità politica. Se accogliamo, infatti, l’autorità come guida della comunità nella realizzazione del bene, essa deve occuparsi di ogni aspetto della fioritura umana. Vita, morte, educazione, religione e famiglia sono aspetti fondamentali cui l’azione politica deve essere orientata.

 

Conclusioni

Uno sguardo al dibattito contemporaneo ci mostra quanto l’Europa oggi sia divisa sulle questioni cui ho accennato e quanto la stessa azione politica europea ne risulti confusa. Basti confrontare i valori espressi nella Costituzione con la legislazione europea ordinaria per ravvisarne la contraddittorietà. Un esempio per tutti: la proposta della Commissione[11] sul finanziamento della ricerca sulle cellule staminali embrionali, da una parte, ed il diritto alla vita ed il principio di non discriminazione tra esseri umani, proclamati nel Preambolo della Costituzione, dall’altra.

In realtà, occorrerebbe una legislazione più lineare rispetto ai valori comuni perseguiti, che sono indicati nel Preambolo della Costituzione.

Il senso di appartenenza, il sentirsi europei, infatti, nascono proprio da questa coscienza culturale comune. Il bene comune, infatti, va letto alla luce di quei beni fondamentali per la fioritura umana.


 


[1] Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950.

[2] «La Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere […] che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini», in sent. 5 febbraio 1963.

[3] Sent. 15 Luglio 1967.

[4] «La tutela dei diritti fondamentali costituisce parte integrante dei principi giuridici generali di cui la Corte garantisce l’osservanza. La salvaguardia di questi diritti […] va garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità», in sent. 12 novembre 1969.

[5] Preambolo TUE, versione consolidate (come modificato dal Trattato di Amsterdam).

[6] Aristotele, Etica Nicomachea, VIII,1.

[7] Ib., IX, 12.

[8] Claudio Zanghì, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Giappicgelli, Torino 2002, p. 417.

[9] J.M.Finnis, Legge naturale e diritti naturali, ed. Giappichelli, To 1996

[10] Aristotele, Politica, I, 6.

[11] Legiferare meglio 2004,