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                          Cocaina 
                          e Cannabis Apporti 
                          scientifici e riflessi antropologici sul consumo delle 
                          droghe "leggere"  
                          di 
                          Francesco Romano 
                        
                           
                          Introduzione 
                        Il recente dibattito sulla legalizzazione o meno delle sostanze 
                        stupefacenti ha portato alla ribalta della discussione 
                        politica ciò che purtroppo – nonostante o forse a causa 
                        delle attenzioni altalenanti cui è soggetto da parte 
                        della comunità socio-politica – è un fenomeno 
                        storicamente ricorrente: l’abuso delle cosiddette 
                        droghe leggere. Questo costume - per le 
                        generalizzazione a cui assurge in alcuni periodi storici 
                        lo si può spiacevolmente definire così - della società 
                        occidentale mina le basi della civile convivenza 
                        alimentando una spirale di illegalità e di violenza. 
                        Si è pensato, nel presente studio, di ricapitolare i risultati della 
                        moderna ricerca scientifica riguardo gli effetti delle 
                        sostanze stupefacenti più largamente usate (cocaina 
                        e cannabis), considerate droghe leggere, 
                        in modo da offrire una valutazione complessiva dei loro 
                        effetti. 
                        Si è inoltre valutato l’aspetto antropologico del 
                        fenomeno-droga, alla luce di una concezione 
                        personologica dell’individuo. Questa prospettiva, 
                        pensiamo, deve essere tenuta presente da parte di tutti, 
                        insieme all’aspetto medico-scientifico, per una 
                        valutazione complessiva degli effetti sulla persona; 
                        pena lo scadere del dibattito in un bisticcio di voci 
                        dissonanti, parziali o male informate.  
                          
                          
                          
                          Cocaina 
                          
                        1.1 
                        Scoperta e storia
                        
                        Le prime notizie con rilevanza scientifica sull’abuso della cocaina, 
                        risalgono ad un secolo fa. Nel 1859 Albert Niemann, di 
                        Gottingen, isolò e titolò cocaina il principale 
                        alcaloide delle foglie di coca. Nella successiva metà 
                        del secolo una gran quantità di medici e giuristi si 
                        interessarono del potere di questo nuovo e potente 
                        stimolante del sistema nervoso centrale. Secondo la 
                        medicina ufficiale del tempo esso costituì un rimedio a 
                        tutti i mali dell’umanità e i medici lo prescrissero 
                        contro l’alcolismo, la depressione, la dipendenza da 
                        morfina, la tubercolosi, l’impotenza e una gran varietà 
                        di altri malanni. 
                        Il successo di una simile panacea è facile da comprendere. Tirando su 
                        l’umore, incrementando l’attenzione e diminuendo la 
                        fatica, la cocaina costituisce un rimedio sintomatico 
                        (non eziologico) per molte malattie croniche e per la 
                        depressione che spesso accompagna il lungo decorso di 
                        alcuni traumi. Fu solo quando cominciarono a 
                        riscontrarsi sovradosaggio, psicosi paranoide ed 
                        incapacità di interromperne l’assunzione, che 
                        l’entusiasmo per la droga si convertì in delusione ed il 
                        suo uso diminuì. Anche se non è mai cessato del tutto. 
                        Avendo tali proprietà è 
                        quasi inevitabile che la cocaina goda di periodi di 
                        largo consumo. Durante i periodi di disagio sociale 
                        quando la droga è facilmente reperibile, c’è forte 
                        richiesta di potenti anti-depressivi. Affiorano così le 
                        loro conseguenze negative e vengono imposti controlli 
                        legali per cui l’uso di queste sostanze regredisce. 
                        Quando vengono invece dimenticate le complicanze dovute 
                        al loro protratto uso una droga come la cocaina ritorna 
                        in auge 
                          
                        1.2 Modalità di 
                        consumo 
                        La Cocaina è assorbibile 
                        dall’organismo attraverso tutte le membrane mucose. 
                        L’assunzione attraverso la mucosa nasale è preferita 
                        all’assunzione per via orale in quanto permette il 
                        superamento di una prima barriera metabolica – con 
                        conseguente parziale perdita degli effetti stupefacenti 
                        - che è il fegato. Sono usate comunque anche altre 
                        mucose, come quella vaginale e rettale. Tra le 
                        complicanze dell’assunzione della cocaina sniffing, 
                        si annoverano la rinite, qualche volta etmoiditi, 
                        erosione della mucosa e, raramente, perforazione del 
                        setto nasale cartilagineo. L’effetto dopo iniezione 
                        endovenosa si avverte a 15-20 secondi dall’inoculazione. 
                        La somministrazione intramuscolare o sottocutanea furono 
                        utilizzate per i primi anni ma attualmente non sono più 
                        riportate tra le  modalità comuni di assunzione. 
                         
                        . 
                          
                        1.3 Il ‘mito’ della 
                        cocaina 
                        Perché si comincia ad 
                        usare la cocaina? Da recenti sondaggi condotti su 
                        giovani, durante il periodo del servizio militare, 
                        pubblicato dal  National Focal Point, sul Report annuale 
                        sullo status delle droghe in Italia nel 1999, è 
                        risultato che riguardo al motivo per cui si comincia a 
                        fare uso di sostanze stupefacenti, le due motivazioni 
                        prevalenti sono curiosità (più del 40%) e pressione del 
                        gruppo (più del 30%). 
                        Riguardo il passato, c’è da dire però che l’insorgere dell’uso della 
                        cocaina fu stato accompagnato da due ‘credenze popolari’, 
                        che ne favorirono la diffusione facendone quasi un mito. 
                        La prima è che essa comparve come status symbol, 
                        una droga usata da gente di classe medio-alta, influente 
                        e sofisticata. A parità di peso essa non costa più 
                        dell’eroina. Tuttavia pochi giorni di consumo possono 
                        costare centinaia o migliaia di dollari, a secondo della 
                        purezza della sostanza. Pertanto l’uso abituale e 
                        ripetuto richiede grandi somme di denaro oppure il 
                        consumo di enormi quantità di cocaina. 
                        La seconda ‘credenza’ era che la cocaina fosse una droga sicura (safe 
                        drug), ed avesse pochi o nulli effetti collaterali. 
                        Questa idea può essere sorta poiché i primi consumatori 
                        di cocaina raramente usavano “sniffarla”. Adesso, che 
                        sono più frequenti gli studi su campioni riguardo l’uso 
                        ripetuto per via nasale (compulsive sniffing), 
                        respiratoria (smoke) ed intravenosa, e che la 
                        cocaina è assunta in dosi maggiori, sono state osservate 
                        molte serie e letali conseguenze della dipendenza da 
                        questa sostanza. 
                          
                          
                        1.4 Effetti letali e 
                        non letali 
                        Nel 1987, un comitato di ricercatori impegnati nello studio della 
                        dipendenza da sostanze stupefacenti, raccomandò il 
                        proseguire degli studi sperimentali in cui la cocaina 
                        fosse  somministrata ai soggetti sotto controllo medico, 
                        per valutarne gli effetti clinici, sintomatologici e 
                        fisiologici. 
                        In risposta Nahas (1990) ipotizzò che i rischi 
                        conseguenti all’uso sperimentale di cocaina su campioni 
                        umani, superassero i benefici che se ne sarebbero potuti 
                        trarre, e dimostrò questo, in un esauriente studio. 
                        Come si vede, si trattò di una discussione in ambito 
                        medico scientifico tra chi vedeva più gli effetti 
                        benefici di una tale ricerca e chi invece era più 
                        propenso a sottolinearne i danni. Visto che la 
                        discussione si svolgeva fuori da un contesto politico ed 
                        ideologico, i risultati raggiunti sono altamente 
                        attendibili. Questa ricerca – cui rimandiamo per 
                        ulteriori approfondimenti scientifici -, consistette 
                        pertanto in una interessante rassegna degli studi più 
                        seri e specifici degli ultimi anni, sul tema di cui ci 
                        stiamo occupando. I risultati in sintesi furono i 
                        seguenti: 
                        1.    
                        Sebbene 
                        alcuni studi abbiano esagerato nel descrivere gli 
                        effetti negativi dell'uso sporadico di cocaina, 
                        la tossicità di questa droga è documentata sin dagli 
                        inizi del secolo scorso. 
                        2.    
                        Negli 
                        ultimi 10 anni sono stati portati a termine diversi 
                        studi su soggetti umani ai quali è stata fornita cocaina 
                        in diverse dosi e per diverse vie: orale, intranasale, 
                        endovenosa. 
                        I risultati hanno confermato le conclusioni degli 
                        esperimenti condotti sulle scimmie. Ovvero: la cocaina è 
                        assunta dai soggetti spontaneamente e ripetitivamente; 
                        induce rapidamente tolleranza; aumenta la pressione 
                        sanguigna e il battito cardiaco.  
                        3.    
                        I 
                        risultati di questi studi non hanno fornito alcun'altra 
                        informazione che non fosse già nota all'osservazione 
                        clinica come riportato all'inizio del secolo. 
                        Questi includono fibrillazioni e irregolare battito 
                        cardiaco prodotto dalla cocaina, così come gli effetti 
                        dannosi sulle funzioni cerebrali. 
                        4.    
                        Nella 
                        letteratura scientifica americana, dal 1975 al 1987, 
                        sono stati documentati 140 decessi correlati 
                        all'assunzione "recreational use" di cocaina, e questo 
                        non solo in caso di elevata concentrazione plasmatica 
                        (da 0.8 a 800 mg/litro). La qual cosa indica che il 
                        decesso non è necessariamente prodotto da un elevata 
                        dose di droga. 
                        5.    
                        S. Peng e 
                        al. (1987) hanno sottolineato come il danno prodotto 
                        dalla somministrazione sperimentale, sul tessuto 
                        vascolare o cerebrale non debba essere sottovalutato. 
                        6.    
                        In uno 
                        studio recente sono state riscontrate bande necrotiche 
                        di tessuto nel 93 % di muscoli cardiaci, apparentemente 
                        normali, rimossi da soggetti il cui decesso era 
                        correlato all'assunzione di cocaina. 
                        Concludendo il suo 
                        lavoro, Nahas afferma: "Sulla base delle attuali 
                        conoscenze e considerando il grave rischio che comporta 
                        la somministrazione di cocaina a soggetti che già la 
                        assumono abitualmente, l'autore è del parere che la 
                        sperimentazione su esseri umani deve essere sospesa. Al 
                        contrario le linee di ricerca devono essere condotte 
                        verso studi in vitro e in vivo su animali, 
                        così da verificare gli effetti e i meccanismi di 
                        tossicità della cocaina sul cervello, sul cuore, sul 
                        sistema vascolare e sul fegato". 
                        Riguardo gli effetti, 
                        però, ci rimangono da considerare più attentamente anche 
                        quelli psicologico-comportamentali prodotti 
                        dall’assunzione di cocaina.
                         
                        Il commercio illecito di 
                        cocaina è un’impresa ad alto rischio, della quale la 
                        violenza è una frequente conseguenza. La depressione che 
                        segue l’uso di cocaina (post-cocaine depression) 
                        è così intensa da poter portare al suicidio. La 
                        depressione è apparentemente dovuta all’esaurimento 
                        della dopamina, e all’insensibilità dei recettori 
                        dopaminici, conseguenti l’entrata in circolo della 
                        cocaina. Inoltre il senso di colpa che può affiorare nel 
                        momento in cui si riprende possesso delle proprie 
                        facoltà intensifica la spinta suicida (Cohen, 1981). I 
                        pensieri paranoici che quasi sempre sviluppano i 
                        consumatori abituali di cocaina portano a perdita del 
                        senso della realtà (miscalculation of the environment). 
                        L’eccessiva diffidenza può portare le persone 
                        circostanti a sentirsi offese. I decessi accidentali, 
                        durante intossicazione da cocaina, sono spesso causati 
                        dagli effetti delle illusioni, dei giudizi errati o 
                        delle decisioni affrettate che essa provoca nel 
                        soggetto. 
                        Gli effetti a lungo termine del fumo della pasta di coca e della cocaina 
                        base sono sconosciuti. Riguardo le misure della 
                        funzionalità respiratoria, durante un intervallo di 
                        non-uso, i fumatori sono risultati avere una minora 
                        capacità di eliminazione di CO2 attraverso gli alveoli 
                        polmonari rispetto agli individui normali. 
                          
                        1.5
                        
                         Dipendenza 
                        Washton (1989) ha riscontrato lo "straordinario effetto additivo della 
                        cocaina" e l'intenso desiderio che provoca di ritornare 
                        all'uso. Questi sono "così potenti da cancellare anche 
                        gli istinti di sopravvivenza". 
                        Risultati provenienti da altri paesi hanno invece 
                        concluso che il consumo di cocaina è legato a scarsi 
                        problemi di dipendenza. 
                        Anche negli stati Uniti ci sono studi in accordo a 
                        questi ultimi.
                         
                        Al di là di queste 
                        interessanti discrepanze tra ricerche fatte in paesi 
                        differenti, è comunque fuor di dubbio (e supportato da 
                        altri studi) che una stessa droga può indurre differenti 
                        livelli di dipendenza quando somministrata attraverso 
                        differenti vie.
                         
                        Nei vecchi studi 
                        scientifici, faceva notare S. Cohen (1984), la cocaina 
                        non sembrava dare dipendenza fisica. E il risultato era 
                        corretto, poiché il modesto quantitativo in uso allora e 
                        la frequenza di assunzione da parte del soggetto non 
                        avevano paragone con quelle impiegate oggi. 
                        Le dosi elevate attualmente abituali e la frequenza con 
                        cui è assunta la cocaina oggi inducono tolleranza al 
                        farmaco (con evidente necessità di aumentarne la dose 
                        per ottenere gli stessi effetti) e sindrome d'astinenza 
                        nel momento in cui se ne interrompe bruscamente il 
                        consumo. Quest'ultimo consiste in depressione, tendenza 
                        a mangiare e dormire di più ed insofferenza. I 
                        consumatori sono spinti a tornare all'uso di cocaina 
                        perché fortemente attratti dagli effetti (reward) 
                        di intenso senso di euforia, ma anche per fuggire 
                        l'intenso senso di depressione e il senso di colpa che 
                        si fa presente in caso di uso discontinuo di cocaina. 
                        Inoltre c'è una incapacità di gustare i piccoli piaceri 
                        del vivere perché i centri del sistema nervoso centrale 
                        sono stati sovrastimolati e sono temporaneamente 
                        refrattari agli stimoli normali. A parte la depressione 
                        psichica, la dipendenza fisica non è un fattore 
                        determinante per riportare il consumatore all'uso della 
                        cocaina. 
                        Non sempre le ricerche 
                        su animali possono essere applicate all'uomo. Tuttavia 
                        gli studi sul comportamento di primati che hanno assunto 
                        cocaina, rivela una sorprendente somiglianza con il 
                        comportamento osservato su consumatori cronici di 
                        cocaina. Quando l'accesso alla droga è illimitato, i 
                        primati assumerebbero la droga – ciò avviene, 
                        nell'esperimento, pressando una barra – fino alla morte 
                        o all'insorgere di convulsioni. Se è fornito un maggior 
                        quantitativo di droga i primati sono capaci di premere 
                        fino a 12.800 volte per ottenere una singola dose. I 
                        primati preferiscono la cocaina endovena piuttosto che 
                        le anfetamine, sempre endovena. Essi preferiscono la 
                        droga al cibo che hanno a disposizione nella gabbia. 
                        Anche se un esemplare femmina è presente, disposto 
                        all'accoppiamento, essi non se ne interessano e 
                        continuano a premere la barra per avere altra droga. 
                        Infine i primati sottoposti alla sperimentazione 
                        preferiscono premere la barra che da una lieve scossa 
                        elettrica ma una maggior dose di cocaina, piuttosto che 
                        una che non dà scossa elettrica ma fornisce un più 
                        modesto quantitativo di droga. La cocaina ha il più 
                        potente effetto di richiamo di qualunque altra droga 
                        conosciuta. 
                          
                        1.6 Terapia di 
                        recupero  
                        Il consumatore di 
                        cocaina che cerca di uscirne è ben consapevole della 
                        natura insidiosa, insistente e distruttiva della 
                        dipendenza della cocaina. E’ importante fornirgli tutte 
                        le necessarie informazioni circa le molteplici e serie 
                        conseguenze dell’uso abituale di cocaina in modo da 
                        rinforzare la motivazione del paziente ad astenersene. 
                        E’ disponibile un sufficiente materiale della sequela 
                        del chronic cocainism così da rendere efficace la 
                        presentazione delle prospettive conseguenti all’abuso 
                        prolungato. Dovrebbe essere soprattutto descritto il 
                        paradosso dell’uso di cocaina: ciò che inizia con la 
                        ricerca di euforia e benessere termina inevitabilmente 
                        in un senso disforico e di depressione.  
                           
                          1.7 Sintesi 
                        La Cocaina è un potente 
                        euforico che  induce in cambio, anche solo 
                        transitoriamente, depressione, timore e senso di 
                        malessere. Nuove modalità di assunzione di cocaina, come 
                        l'inalazione dei vapori della coca-base, la 
                        somministrazione endovena di cocaine hydrochloride 
                        , e il fumo di pasta di coca produce una momentanea 
                        ebbrezza che lascia rapidamente il posto all'umore 
                        precedente o malessere, risultando in un forte desiderio 
                        di tornare alla momentanea esperienza estatica; un 
                        circolo che porta ad un uso ripetuto. 
                        L’enorme profitto 
                        fornito dal traffico illecito di cocaina porta alla 
                        corruzione, alla violenza,e, in alcuni paesi, 
                        all'instabilità politica. Il costo individuale della 
                        cocaina porta alla perdita di colossali patrimoni, 
                        lavoro e famiglia. La sicurezza della cocaina è una non 
                        più credibile leggenda. Ci sono molte possibilità che la 
                        cocaina sia letale. Le elevate dosi che attualmente si 
                        usano portano alla dipendenza fisica. Ma questo problema 
                        è minore rispetto all'intenso desiderio psichico di 
                        tornare all'uso ripetuto della cocaina. Non c'è uno 
                        specifico modo di trattare i disagi indotti dall'abuso 
                        di cocaina; il piano di trattamento deve commisurarsi 
                        alle singole specifiche situazioni.  
                          
                          
                        2. Cannabis 
                          
                        2.1 Storia, 
                        diffusione e statistica 
                        La Cannabis rappresenta 
                        la droga di più largo uso al mondo, con un rilevante 
                        numero di consumatori nella società occidentale. La 
                        diffusione geografica comprende praticamente tutti i 
                        paesi del mondo. Circa 140 milioni di individui fa uso 
                        di cannabis (il 2,5% della popolazione mondiale, 
                        paragonata allo 0,3% che consuma cocaina e lo 0,2% 
                        oppiacei; vedi TAB 1 e 2). Studi epidemiologici 
                        concordano nell'affermare che la maggior parte dei 
                        consumatori sono giovani, anche tra i 10 e i venti anni. 
                        La porzione di consumatori più consistente ne fa uso 
                        saltuario, fino ai 20-30 anni circa. Solo una piccola 
                        parte usa la droga quotidianamente per un periodi di 
                        anni. Degli studi condotti negli USA e in Australia 
                        indicano che circa il 10% di quelli che non hanno mai 
                        usato cannabis divengono fumatori giornalieri; circa il 
                        20-30% invece ne usano con frequenza settimanale. 
                          
                          
                               
                          
                            | 
                            Paese e anno di 
                            campionamento | 
                            % sul tot. di droghe illegali | 
                            
                            Cannabis | 
                            
                            Amphetamine | 
                            
                            Ecstasy | 
                            
                            
                            LSD | 
                            
                              Cocaina | 
                            
                            
                            Eroina |  
                            | 
                            Australia, 1996(tra 15-16 anni)
 | 
                            51.3a | 
                            47.2 | 
                            7.9 | 
                            4.6 | 
                            11.9b | 
                            3.7 | 
                            4.1 |  
                            | 
                            U.S.A., 1996(tra 10-16 anni)
 | 
                            45.4 | 
                            39.8 | 
                            17.7 
                            
                            (4.4)c | 
                            5.6 | 
                            9.4 | 
                            7.1 | 
                            2.1 |  
                            | 
                            Canada, 1995(tra 15-17 anni)
 | 
                            30.4 | 
                            28.8 | 
                            10.7c | 
                            - | 
                            10.7c | 
                            1.8 | 
                            10.7c |  
                            | 
                            Unione Europea, 
                            1994/95; media non ponderata 
                            (tra 15-16anni)d | 
                            17.5 | 
                            14.5 | 
                            3.7 | 
                            2.4 | 
                            2.3 | 
                            1.0 | 
                            0.7 |  
                            |  |  |  |  |  |  |  |  |  |   
                           TAB. 1.  
                          Diffusione della cannabis (lifetime prevalence) 
                          tra i 15-16 anni di età, paragonata ad altre droghe 
                          (in %), nei Paesi dell'UE, Australia, Canada e U.S.A.. 
                           
                        TAB. 
                        2 
                        
                        Andamento globale del consumo di Cannabis, Eroina e 
                        Cocaina (1987-1997). Si noti l'andamento crescente della 
                        Cannabis rispetto all'altalenante consumo di Eroina e 
                        Cocaina. 
                        
                        Fonte: UNDCP Research Section, “Cannabis as an illicit 
                        narcotic crop: a review of the global situation of 
                        cannabis consumption, trafficking and production”; in 
                        Bulletin on Narcotics (1997). 
                        
                        L’uso terapeutico della cannabis ha una storia 
                        che si perde nei secoli. Già fonti degli antichi Egizi, 
                        dei Cinesi (2700 a.C) e degli Assiri (800 a.C.) indicano 
                        la cannabis come una delle più antiche droghe del 
                        mondo. L’introduzione nel mondo occidentale 
                        probabilmente si deve ai medici in forza all’esercito 
                        inglese in India che ne notarono gli effetti 
                        anti-convulsivi, analgesici, ansiolitici. 
                        Iniziata quella che può definirsi la fase moderna 
                        dell’impiego terapeutico della cannabis, furono notati 
                        altri effetti nella terapia delle malattie 
                        psichiatriche, come induttore dell’appetito e del sonno, 
                        senza presentare particolari effetti secondari. Come 
                        molte altre droghe estratte da vegetali anche la 
                        cannabis è stata usata per lenire il dolore e la 
                        sofferenza dell’uomo per decenni. Alla fine del XIX° 
                        secolo nella farmacopea americana la cannabis era 
                        indicata come farmaco contro nevralgia, gotta, 
                        reumatismi, tetano, colera epidemico, convulsioni, 
                        isteria, depressione mentale, delirium tremens, e 
                        altre patologie. L’interesse – comprensibile visto 
                        l’ampio spettro di patologie contro le quali veniva con 
                        successo impiegata -  per l’uso terapeutico della 
                        cannbis crollo’ quando nel 1930 essa fu dichiarata 
                        illegale dal Marijuana Tax Act. Tale azione fu 
                        introdotta dopo la commercializzazione dell’aspirina, 
                        dei barbiturici e di altri analgesici sintetici e 
                        sedativi che presto resero inutile l’uso medico della 
                        cannabis. Tuttavia il crescente uso ricreativo della 
                        cannabis negli anni ’60 riportò il dibattito sui 
                        risultati medico-scientifici del suo utilizzo. Perché 
                        dunque la cannabis attira tanto l’interesse? Perché 
                        tante controversie sui risultati terapeutici e sui suoi 
                        effetti sulla salue? Lungo questy’analisi cercheremo 
                        delle possibili risposte.
                        
                         
                        2.2 Cannabis: la 
                        droga 
                        Cannabis è il nome generico per una serie di preparati derivati dalla 
                        pianta Cannabis sativa L., che contiene più di 60 
                        sostanze tipo-cannabinoidi. La ricerca chimica di 
                        laboratorio ha individuato e isolato nel 1964 il 
                        principio attivo con la maggiore potenzialità 
                        psicoattiva: è il cannabinoide 
                        trans-i9-tetraidrocannabinolo (THC). 
                        La concentrazione di THC varia tra i 3 più comuni tipi 
                        di cannabis: 
                          
                        a)    
                         marijuana: 
                        preparata essiccando la fioritura raccolta dalla parte 
                        alta della pianta. Queste sono le parti con la maggiore 
                        concentrazione di THC, che va diminuendo man mano che si 
                        scende lungo lo stelo. La concentrazione di THC in 
                        foglie di marijuana di questo tipo raggiunge dal 0,5-5%, 
                        mentre la varietà Sinsemilla tra il 7 e il 14%. 
                        b)    
                        hashish 
                        che consiste in resina di cannabis e fiori essiccati e 
                        compressi. La concentrazione di THC quì varia dal 2-8%. 
                        c)     
                        hash oil; 
                        è un materiale altamente concentrato prodotto astraendo 
                        il THC dall’hashish (o dalla marijuana) attraverso un 
                        solvente organico. La concentrazione del THC in questo 
                        olio è di solito tra il 15-50%. 
                        Il modo di impiego più diffuso è quello di arrotolare manualmente la 
                        marijuana in sottili foglietti e fumarla. Spesso è 
                        inserito il tabacco che facilita la combustione. 
                        L’Hashish può essere mischiato al tabacco e fumato in 
                        pipa o in sigaretta. L’olio di hashish può essere 
                        versato in poche gocce sul tabacco di una normale 
                        sigaretta, aggiunto ad una miscela per pipa o 
                        vaporizzato e inalato. Qualunque sia il metodo usato il 
                        consumatore di solito respira profondamente e trattiene 
                        la sostanza in modo da massimizzare l’assorbimento di 
                        THC. 
                        Una sigaretta-tipo può contenere tra 0.5 e 
                        1.0 g di cannabis, che a 
                        sua volta può variare nel contenuto di THC tra i 5 e i 
                        150 mg (tra l’1-15%). L’effettiva dose di THC utilizzata 
                        è pertanto stimata tra il 20-70% (Hawks, 1982), il resto 
                        si perde nella combustione o nel fumo non inalato. 
                        La bioviabilità del THC (percentuale di THC che 
                        raggiunge il circolo ematico) dalle sigarette di 
                        marijuana in individui di specie umana è stato stimato 
                        intorno al 5-24% (Ohlsson e al. 1980). 
                        Viste tutte queste variabili, si intuisce come 
                        l’effettiva dose di THC assorbita dall’organismo di 
                        volta in volta non sia facilmente quantizzabile. 
                        Riguardo le dosi impiegate si nota che una modesta quantità di cannabis 
                        (2-3 mg di THC) è sufficiente per produrre un effetto 
                        sensibilmente elevato in un fumatore non abituale ed una 
                        singola sigaretta può servire per due o tre individui. 
                        Abitualmente i fumatori abituali consumano  cinque o più 
                        sigarette al giorno mentre in Jamaica possono arrivare a 
                        consumare 420 mg al giorno. Può essere indicativo sapere 
                        che le ricerche cliniche per verificare gli effetti 
                        della cannabis sulla salute usano dosi in capsule di 10 
                        (bassa), 20 (media) e 25 (alta) mg di THC.  
                        Ci sono diversi aspetti della farmacocinetica del THC che hanno grande 
                        importanza sugli effetti della cannabis (produzione di 
                        metaboliti attivi, tempo e modo di deposito nei tessuti 
                        adiposi, raggiungimento del picco ematico ed equilibrio 
                        con la concentrazione nel tessuto cerebrale) che vanno 
                        considerati attentamente ma purtroppo sono 
                        frequentemente disconosciuti. 
                          
                        2.3 Difficoltà 
                        metodologiche nell’individuarne gli effetti sulla salute 
                        Determinare gli effetti secondari di una sostanza chimica particolare su 
                        una popolazione così diversa per ampiezza e tipologia è 
                        spesso difficile a meno che essi non emergano in modo 
                        chiaro ed evidente. Pertanto non sorprende il fatto che 
                        si continui ad opinare sugli effetti della cannabis 
                        riguardo la salute. Ci sono stati numerosi studi 
                        sull’argomento: 
                        alcuni hanno concluso che la cannabis è relativamente 
                        innocua, 
                        mentre altri hanno concluso che essa è decisamente 
                        pericolosa e dannosa. 
                        Ci sono diversi fattori che contribuiscono alla sotto o sopravalutazione 
                        dei diversi effetti dell’uso di cannabis. Come accennato 
                        sopra la cannabis è usata fondamentalmente da una fascia 
                        di individui giovani, la cui salute è abitualmente 
                        migliore che quella della media della popolazione. 
                        Inoltre molti consumatori fanno un uso saltuario di 
                        cannabis, questo probabilmente mitiga in parte gli 
                        effetti sulla salute. C’è poi una certa tendenza a 
                        trattare  i consumatori di cannabis come un campione 
                        omogeneo, senza riferimento ai gruppi ad alto rischio 
                        come gli adolescenti o soggetti con pregresse turbe 
                        psichiche. Naturalmente, le estrapolazioni dei risultati 
                        su soggetti ad alto rischio riportate su tutta la 
                        popolazione possono indurre una sopravalutazione degli 
                        effetti della sostanza sulla salute. Pertanto è 
                        categorico che, prima di tirare le conclusioni riguardo 
                        l’effetto di qualsiasi sostanza, siano state considerati 
                        fattori quali lo stato di salute del soggetto, la 
                        frequenza di uso e i rischi associati. 
                        Nelle righe seguenti terremo in conto i parametri usati da Martin e Hall 
                        (1997) e ritenuti standard affidabili dalla comunità 
                        scientifica internazionale nel momento in cui si prende 
                        in considerazione qualsiasi studio scientifico. La 
                        conclusione scientifica che la cannabis arrechi 
                        danni alla salute ha pertanto come presupposto: 
                        a)    
                        che ci sia 
                        una relazione dimostrata tra l’uso di cannabis e la 
                        patologia in questione. 
                        b)    
                        che la 
                        sola probabilità, che ci sia questa relazione, non sia 
                        presa in considerazione come prova. 
                        c)     
                        che l’uso 
                        di cannabis preceda la patologia. 
                        d)    
                        che siano 
                        escluse altre possibili cause di quella specifica 
                        patologia. 
                          
                        Questi presupposti sono assicurati – in tutti gli studi che presentiamo 
                        in queste pagine -  da specifici metodi statistici usati 
                        di volta in volta durante le ricerche, che escludono la 
                        presenza di errori (studi caso-controllo, doppio-cieco, 
                        coorte ed esperimenti). 
                          
                          
                        2.4 Effetti immediati 
                        della cannabis 
                        L’individuo sotto effetto della cannabis presenta i seguenti sintomi: 
                        alterato stato di coscienza accompagnato da lieve 
                        euforia e senso di rilassatezza; alterazioni della 
                        percezione, come  distorsione del tempo, ma anche 
                        alterazione della percezione sensoriale di stimoli 
                        normali, come mangiare, vedere dei film e ascoltare 
                        della musica. 
                        Quando l’uso avviene in un contesto conviviale, tra i 
                        suoi effetti possono notarsi riso contagioso, e 
                        loquacità. Ci sono anche dei pronunciati effetti sulla 
                        capacità cognitiva, come l’indebolimento della memoria 
                        breve e la dissociazione dei pensieri che porta il  
                        soggetto a lasciarsi trasportare da  sogni ad occhi 
                        aperti e fantasie. Sono compromesse in vario grado anche 
                        le reazioni e le funzioni motorie così che l’attività 
                        normale di vario tipo risulta frequentemente alterata. 
                        Gli effetti psicologici più fastidiosi sono soliti essere ansia, attacchi 
                        di panico, paura di perdere il controllo e malessere 
                        derivato da stato d’animo depresso. 
                        Meno frequentemente insorgono sintomi psicotici, come 
                        allucinazioni, ma solo ad alti dosaggi. Questi effetti 
                        sono solitamente riportati da consumatori alle prime 
                        armi che non conoscono gli effetti della droga, o da 
                        pazienti cui è stata somministrata THC per fini 
                        terapeutici. Consumatori più sperimentati possono 
                        avvertire sintomi di questo tipo in seguito a 
                        sovradosaggio da THC. Questi effetti possono essere 
                        evitati con una apposita preparazione psicologica del 
                        paziente che tenda a spiegargli prima il possibile 
                        insorgere di questa possibile sintomatologia. 
                        L’inalazione o la somministrazione di THC ha una serie di effetti 
                        farmacologici anche sull’apparato cardiovascolare. Il 
                        più tipico è l’aumento del battito cardiaco del 20-50% 
                        rispetto alla norma. 
                        Questa tachicardia può insorgere tra i primi minuti fino 
                        ad un quarto d’ora dopo la somministrazione e può durare 
                        tra 1-3 ore. Le variazioni della pressione dipendono 
                        dalla posizione del corpo. Nei consumatori giovani gli 
                        effetti cardiovascolari sono più limitati  a causa 
                        dell’adattamento agli effetti del THC e del fatto che 
                        abitualmente godono di salute migliore. 
                        Riguardo il potenziale letale, non si trovano nella letteratura mondiale, 
                        casi confermati di decesso in seguito ad assunzione di 
                        cannabis. Gli studi sperimentali su animali indicano che 
                        la dose letale di THC è estremamente elevata rispetto ad 
                        altri preparati medico-farmacologici o ad altre droghe. 
                        Questo distingue la cannabis dalla altre droghe di uso 
                        comune, che solitamente hanno tutte una capacità di 
                        provocare la morte ad alte dosi. Purtroppo questo fatto 
                        ha portato a parlare della cannabis come di una 
                        safe-drug, che quindi potesse essere usata senza 
                        timore di effetti secondari. Attualmente, i problemi 
                        correlati all’uso di cannabis, possono essere attribuiti 
                        al suo rendere difficile una normale vita produttiva 
                        piuttosto che alla sua potenziale letalità. 
                        Da questi e altri studi si possono sintetizzare così gli effetti 
                        immediati dell’uso di cannabis: 
                        ansia, depressione, panico e paranoia, specialmente nei 
                        consumatori iniziali; indebolimento della capacità 
                        cognitiva, specialmente attenzione e memoria; difetti 
                        psicomotori e possibile aumento del rischio di incidenti 
                        nel caso in cui il soggetto sotto effetto della cannabis 
                        si accinga a guidare un veicolo a motore; incremento del 
                        rischio di scatenare sintomi psicotici in coloro i  
                        quali mostrino nell’anamnesi familiare precedenti di 
                        malattie nervose. 
                          
                          
                        2.5 Effetti dell’uso 
                        continuato di cannabis sulla salute 
                        Il THC produce alterazioni al metabolismo cellulare e alla sintesi del 
                        DNA in vitro,
                        mentre il fumo di cannabis ha dimostrato avere 
                        effetti mutagenici in vitro ed in vivo con un probabile 
                        potenziale cancerogeno. 
                        Queste ricerche indicano la probabilità, nei fumatori 
                        sul lungo periodo, di sviluppo carcinomi soprattutto 
                        nelle zone esposte al passaggio del fumo di cannabis; 
                        ovvero l’apparato oro-faringeo, le vie aeree superiori, 
                        i bronchi e i polmoni. E’ anche dimostrato che i 
                        cannbinoidi debilitino la risposta immunitaria umorale e 
                        cellulomediata nei ratti, 
                        diminuendo le difese contro batteri e virus. Piuttosto 
                        evidenti sono anche gli effetti di indebolimento dei 
                        cannabinoidi nei confronti del tropismo dei macrofagi a 
                        livello alveolare, prima linea di difesa dell’organismo 
                        a livello dei polmoni. 
                        La rilevanza di tali studi negli umani è incerta; 
                        infatti alle cavie sono state somministrati quantitativi 
                        molto elevati di THC, pertanto il problema, 
                        nell’estrapolare tali dati sull’uomo è complicato dalla 
                        possibilità che alle stesse dosi si possa sviluppare 
                        tolleranza e questo infici la riproduttività degli 
                        effetti. 
                        I risultati sperimentali su soggetti umani è controversa., ciò è dovuto 
                        agli effetti verificatisi in un modesto numero dei primi 
                        studi condotti ma non verificati da ulteriori ricerche. 
                        Al giorno d’oggi non abbiamo l’evidenza certa che l’uso 
                        di cannabis predisponga l’uomo a danni come riduzione di 
                        numero o difetto di funzionamento dei T o B linfociti e 
                        dei macrofagi. Non pare neanche che induca un decremento 
                        del livello di emoglobina. Inoltre, due studi 
                        prospettici sulla immunodeficienza in pazienti 
                        omosessuali, virus HIV-positivi, hanno dimostrato che 
                        l’uso di cannabis non era correlato con aumento del 
                        rischio di manifestazione conclamata dell’AIDS. 
                        Più difficile è escludere che il fumo protratto e continuato di cannabis 
                        produca pochi problemi al sistema immunitario. Questi 
                        effetti sul sistema immunitario indurrebbero un lieve 
                        aumento delle comuni infezioni batteriche e virali, come 
                        è stato riscontrato tra i fumatori cronici di cannabis. 
                        Il rislutato necessita di ulteriori studi, anche perché, 
                        il risultato per cui i cannabinoidi produrrebbero 
                        effetti limitanti il sistema immunitario, getterebbe 
                        discredito sul valore terapeutico del THC in pazienti 
                        immunocompromessi, quali quelli sottoposti a 
                        chemioterapia o affetti da AIDS. 
                        Il fumo cronico di cannabis diminuisce la funzionalità respiratorie 
                        probabilmente causa sintomi simil-bronchitici. 
                        Tashkin et 
                        al. (1987) 
                        condussero uno studio  mettendo a confronto i seguenti 
                        gruppi: non-fumatori, fumatori di tabacco, fumatori di 
                        marijuana, fumatori di tabacco più marijuana, e un 
                        gruppo di controllo. Questo studio non ha evidenziato 
                        differenze nella prevalenza di sintomatologia 
                        bronchitica tra il gruppo di fumatori di tabacco e 
                        quelli di marijuana. 
                        Tutti i soggetti fumatori mostravano anormalità 
                        istopatologiche più severe rispetto ai non-fumatori. 
                        Molte du queste anormalità erano prevalenti nei fumatori 
                        di marijuana e più marcate in quelli che fumavano 
                        marijuana più tabacco. L’impatto sulla funzionalità 
                        respiratoria, invece, non è chiaro e ci sono risultati 
                        contrastanti. 
                        Riguardo gli effetti sul sistema riproduttivo, alte dosi di THC 
                        somministrate ad animali, riducono la secrezione di 
                        testosterone, la mobilità, la viabilità e la produzione 
                        di sperma negli animali maschi e provocano 
                        l’irregolarità del ciclo ovulatorio nelle femmine. 
                        E’ dubbio l’effetto sugli umani vista la esigua quantità 
                        di studi condotti su questo aspetto. 
                        La cannabis usata durante la gravidanza invece 
                        probabilmente rallenta lo sviluppo del feto portando ad 
                        una riduzione del peso alla nascita, possibile 
                        abbreviamento della gestazione e – come per il fumo di 
                        tabacco – ipossia fetale. Anche qui comunque si avverte 
                        la carenza di ulteriori studi – sono scarsi quelli 
                        riportati al giorno d’oggi in letteratura - 
                        sull’argomento.
                         
                        Vari studi riguardo gli effetti psicologici dell’uso prolungato e 
                        frequente di  cannabis, hanno sostenuto che esso 
                        influisca sulla motivazione degli adulti e sul 
                        comportamento degli adolescenti, producendo una così 
                        detta sindrome demotivante. In realtà non c’è 
                        evidenza sperimentale di una tale affermazione; a volte 
                        tali studi erano disegnati male e non mettevano in 
                        evidenza le caratteristiche socio-demografiche del 
                        campione ed altri fattori importanti. 
                        C’è invece una certa evidenza della comparsa di questa sindrome tra gli 
                        adolescenti. La cannabis pare aumentare il rischio di 
                        rallentamento nell’apprendimento alla scuola secondaria 
                        superiore e sembra favorire l’instabilità delle prime 
                        esperienze professionali nei giovani. 
                        Si è visto però, in successive ricerche, che l’apparente 
                        solidità di una tale correlazione è stata esagerata, 
                        poiché si è visto che quegli adolescenti che facevano 
                        uso di cannabis erano quelli che erano maggiormente 
                        demotivati nello studio ed avevano scarse ambizioni 
                        accademiche già prima di usare la cannabis, rispetto ai 
                        loro compagni che non la usavano.
                         
                        Correlazione stretta vi è tra l’uso di cannabis e difficoltà nel formare 
                        un nucleo familiare, salute mentale e coinvolgimento in 
                        crimini legati alla tossicodipendenza. 
                        In ogni caso, in studi longitudinali più precisi questa 
                        correlazione è stata mitigata dopo controllo statistico 
                        sull’associazione tra uso di cannabis e pregressi 
                        fattori che favorivano gli effetti sopraesposti. 
                        Molti studi concordano nell’affermare che la cannabis induce adolescenti 
                        e adulti che ne fanno uso a passare a droghe più forti, 
                        come stimolanti ed oppiacei. 
                        Questo si è reso evidente soprattutto intorno agli anni 
                        ’70 negli USA. Il motivo di questo rapporto 
                        causa-effetto rimane oscuro. Ci sono due ipotesi 
                        plausibili,  che non è detto che si escludano a vicenda: 
                        a) c’è una selezione attraverso l’uso di cannabis di 
                        adolescenti che hanno propensione alle droghe pesanti b) 
                        una volta iniziato l’uso di cannabis cambiano le 
                        relazioni sociali del soggetto che comincia a 
                        frequentare altri consumatori di droghe.  
                        Rappresenta senz’altro una sfida per la ricerca indagare 
                        sulle basi biologiche per cui l’uso di cannabinoidi 
                        induca il passaggio all’utilizzo di altre droghe. 
                        C’è evidenza sperimentale sul fatto che gli animali sviluppano tolleranza 
                        agli effetti di THC. 
                        Si è visto anche come i consumatori abituali di cannabis 
                        sviluppino tolleranza agli effetti cardiovascolari e 
                        vadano in crisi d’astinenza quando l’uso della droga è 
                        interrotto. 
                        C’è anche un riscontro cinico al fatto che i consumatori 
                        abituali di cannabis sviluppino una sindrome di 
                        dipendenza. C’è una sindrome di dipendenza da 
                        cannabismo analoga a quella che manifestano i 
                        soggetti alcolizzati. 
                        Il rischio di contrarre dipendenza da cannabis è 
                        probabilmente più vicino a quello per l’alcool che al 
                        rischio di contrarre dipendenza per la nicotina e gli 
                        oppioidi. 
                        Soggetti che fanno uso di cannabis quotidianamente per 
                        un periodo da alcune settimane ad alcuni mesi hanno una 
                        forte probabilità di diventare dipendenti dall’uso. 
                        Gli effetti sulle capacità conoscitive in consumatori abituali non sono 
                        severe, né devastanti. 
                        Per esempio non risulta che essa provochi compromissione 
                        della facoltà conoscitiva come negli alcolizzati; se 
                        così fosse, delle ricerche lo avrebbero provato. 
                        C’è tuttavia evidenza clinica che l’uso prolungato di 
                        cannabis possa indurre deterioramento delle alte 
                        funzioni cognitive come la memoria, l’attenzione e 
                        l’organizzazione o l’integrazione di informazioni 
                        complesse. 
                        Si nota anche come il danno sia proporzionale al periodo 
                        in cui si protrae l’uso. 
                        Rimane da capire quanto siano compromettenti questi 
                        effetti sulla vita di ogni giorno e se siano reversibili 
                        dopo un lungo periodo di astinenza dal consumo di 
                        cannabis. 
                        Fu avanzata, nel 1971 in seguito 
                        ad un modesto studio, l’ipotesi che il prolungato uso di 
                        cannabis provochi dei danni al cervello. Lo studio era 
                        però poco attendibile e usava vecchi protocolli di 
                        ricerca. 
                        Il risultato, secondo cui l’uso di cannabis provocasse 
                        allargamento dei ventricoli cerebrali, fu 
                        superficialmente pubblicizzato dei media ed ebbe una 
                        certa risonanza. Altri studi più affidabili, e condotti 
                        secondo criteri certi, non individuarono danni al 
                        cervello nei consumatori cronici di cannabis. 
                        Questi risultati escludono la compromissione della 
                        facoltà conoscitiva in quanto provocata dal danno 
                        strutturale al cervello nei consumatori di cannabis. 
                        C’è una certa evidenza che dosi notevoli di THC producano psicosi 
                        caratterizzate da sintomi come confusione, amnesia, 
                        allucinazioni, ansia e ipomania. 
                        Valide ricerche epidemiologiche hanno inoltre concluso 
                        che c’è una stretta correlazione tra l’uso di cannabis e 
                        la schizofrenia. Lo studio prospettico di Anrdeasson et 
                        al. (1987) ha mostrato una correlazione legata al 
                        dosaggio di cannabis usato fino ai 18 anni e 
                        l’insorgenza di sindrome schizofrenica nei successivi 15 
                        anni. 
                        Questo risultato indicherebbe che l’uso abituale di  
                        cannabis scateni l’insorgere di schizofrenia in 
                        individui vulnerabili; altri sono più scettici al 
                        riguardo. Si fa notare che nell’unico studio prospettico 
                        impiegato – quello di Andreasson et al. -, l’uso di 
                        cannabis non fu documentato al momento della diagnosi, 
                        c’è una possibilità che la cannabis fosse confusa con 
                        l’uso di anfetamine o farmaci vari e pertanto c’è il 
                        dubbio che si confondano la schizofrenia con  altri 
                        disturbi psicotici indotti da cannabis o altre droghe. 
                        Pertanto anche se c’è una certa causalità, l’importanza 
                        dal punto di vista della salute pubblica non deve essere 
                        esagerata. Lo studio di Andreasson et al. mostra che 
                        meno del 10% dei casi di schizofrenia possono essere 
                        attribuiti all’uso abituale di cannabis. 
                        Sulla base di presupposti biologici è probabile che la 
                        canna bis esacerbi i sintomi della schizofrenia e 
                        scateni disordini schizzofrenici. Comunque il calare 
                        dell’incidenza tra i casi trattati e seguiti a distanza 
                        di anni mostra poco verosimile l’ipotesi per cui la 
                        cannabis porti alla schizofrenia soggetti che comunque 
                        non l’avrebbero contratta. 
                          
                        2.6 Sintesi degli 
                        effetti della cannabis  
                        I principali effetti 
                        fisiologici e psicologici dell’uso prolungato, 
                        quotidiano e per molti anni, della cannabis rimangono 
                        incerti. Gli effetti contrari più importanti, verificati 
                        sperimentalmente, sono disturbi respiratori, dipendenza 
                        dalla cannabis e lieve rallentamento di alcune funzioni 
                        cognitive. I disturbi respiratori sono associati alla 
                        modalità di assunzione attraverso il fumo. Ci sono 
                        conferme del fatto che la cannabis induca mutazioni 
                        istopatologiche che possono dare origine a tumori 
                        maligni. La dipendenza dalla droga si caratterizza per 
                        l’incapacità di interromperne l’assunzione. Il 
                        rallentamento delle funzioni cognitive riguarda la 
                        memoria e l’attenzione; esso persiste fino a quando si 
                        protrae l’uso della cannabis e può – o meno, regredire 
                        alla sua interruzione. 
                        Altri effetti vanno 
                        confermati da studi ed ulteriori ricerche: un maggiore 
                        rischio di sviluppare carcinomi del tratto digestivo 
                        superiore, (cavo orale, faringe, esofago); elevato 
                        rischio di leucemia tra gli individui esposti in 
                        utero; un calo delle performance lavorative 
                        caratterizzato da bassa capacità di apprendimento negli 
                        adulti e ritardo nell’apprendimento nei giovani; difetti 
                        alla nascita di bambini le cui madri fanno uso di 
                        cannabis durante la gravidanza. 
                        Nella tipologia di 
                        soggetti che possono andare incontro a danni in seguito 
                        ad uso protratto di cannabis, vi sono dei  ‘gruppi a 
                        rischio’. Essi sono tre: adolescenti, donne in 
                        gravidanza e persone con disturbi pre-esistenti. Gli 
                        adolescenti sono quelli con scarso rendimento scolastico 
                        il cui rendimento può essere ulteriormente compromesso 
                        dall’uso di prolungato e abituale di cannabis Coloro i 
                        quali  cominciano ad usarne tra i 12-18 anni, è 
                        probabile che diventino consumatori cronici di cannabis 
                        o passino a droghe più pesanti. Le donne in stato di 
                        gravidanza hanno più probabilità di dare alla luce 
                        bambini con difetti alla nascita o sottopeso o 
                        abbreviare il periodo della gravidanza con parti 
                        prematuri. Infine le persone con preesistenti patologie 
                        hanno, con una certa probabilità, un rischio maggiore di 
                        esacerbare o manifestare la patologia in questione, se 
                        sono fumatori abituali di cannabis. Queste patologie 
                        latenti, o che possono aggravarsi se già presenti, sono: 
                        disturbi respiratori, asma, bronchiti ed enfisema; 
                        individui con schizofrenia e individui con dipendenza 
                        all’alcool o altre droghe; questi sono probabilmente 
                        maggiormente a rischio di sviluppare dipendenza alla 
                        cannabis. 
                          
                          
                        2.7 Potenziale 
                        terapeutico della cannabis 
                        Il dibattito sulla cannabis è divenuto così politicizzato che è difficile 
                        parlare con oggettività anche degli studi e delle 
                        ipotesi sui suoi effetti terapeutici. Infatti è 
                        conosciuto – e come detto sopra, fino al 1930, anche 
                        legalmente riconosciuto - che la cannabis sia stata 
                        impiegata contro vari disturbi patologici, quali il 
                        contenimento del dolore, l’alleviamento della pressione 
                        endoculare, nausea e vomito. Dato il fatto, però,  che 
                        queste applicazioni e i relativi effetti benefici, non 
                        siano stati supportati da rigorosi studi scientifici, 
                        attualmente l’uso di cannabis a scopo terapeutico 
                        continua ad attrarre e risvegliare interesse,  
                        nonostante sia sostenuto da studi di individui che si 
                        sono piuttosto auto-medicati con la cannabis. 
                        D’altro canto, molti studi scientifici sono fatti usando 
                        THC e suoi derivati e questi dati sono poi stati spesso 
                        usati per sostenere l’adeguatezza dell’uso  terapeutico 
                        della cannabis. Ma è fuori luogo riportare gli effetti 
                        clinici della somministrazione di THC a quelli dell’uso 
                        della cannabis, a motivo della grande differenza che 
                        intercorre tra il fumare cannabis e ingerire semplici 
                        composti sintetici. 
                          
                        La sola lunga storia dell’uso di cannabis in tempi passati, non 
                        autorizza a trarne conseguenze dal punto di vista 
                        dell’opportunità dell’uso clinico che attualmente se ne 
                        vorrebbe fare. Chiaramente desta entusiasmo nei medici 
                        la possibilità di curare tante malattie con il semplice 
                        uso della cannabis. 
                        Ma la sola idea di somministrare qualsiasi sostanza 
                        sotto forma di foglie da fumare ad un individuo, è 
                        l’antitesi della moderna medicoterapia. 
                        Altre questioni riguardano i principi attivi derivati dal THC che si 
                        devono impiegare per le singole patologie. Il problema 
                        del dosaggio poi è legato alla grande varietà di 
                        concentrazione di THC che, come vedevamo all’inizio, 
                        troviamo nelle diverse parti della pianta Cannabis 
                        sativa L..  Inoltre il fumo della cannabis porta con 
                        sé i problemi legati alla cronicizzazione dell’uso di 
                        tale sostanza, come visto sopra. Allora, 
                        fondamentalmente, qualora  se ne reputi opportuno l’uso 
                        clinico,  bisogna sottoporre la somministrazione di THC 
                        agli stessi standard e allo stesse modalità di qualsiasi 
                        altro farmaco. Essenzialmente sono richiesti: a) 
                        l’evidenza che il farmaco sia efficace; b) che esso 
                        abbia un margine accettabile di sicurezza; c) che sia 
                        somministrabile in modo appropriato. L’impossibilità di 
                        riscontrare uno di questi fattori diminuisce il valore 
                        terapeutico della cannabis. Ci sono circostanze che 
                        giustificano l’uso di cannabis? E’ senz’altro 
                        un’indicazione il fatto che il paziente sia refrattario 
                        ad altre terapie. La severità della patologia è un 
                        ulteriore fattore cruciale per deciderne l’impiego. 
                        Se dovessimo fare una sintesi degli effetti terapeutici della cannabis, 
                        diremmo che c’è parecchio interesse nella cura della 
                        sindrome cachettica da AIDS, terapia del dolore, effetti 
                        antiemetici, controllo della  pressione endoculare, 
                        glaucoma, disturbi motori. L’uso della cannabis desta 
                        reazioni controverse legate alla sua stessa natura: 
                        quella di una sostanza psicoattiva che deve essere 
                        assunta a lungo e produce determinati effetti 
                        collaterali L’argomento dovrebbe, a detta di 
                        studiosi esperti, senz’altro rimanere all’interno del 
                        dibattito medico scientifico fin quando non siano stati 
                        condotti degli studi clinici, a lungo termine e 
                        verificati severamente, sull’impiego clinico della 
                        cannabis. 
                        Naturalmente c’è la possibilità che un preparato 
                        differente di cannabis possa essere più accettabile per 
                        l’uso terapeutico. I ricercatori hanno attualmente a 
                        disposizione delle sigarette standardizzate che 
                        eliminano l’incertezza sulla concentrazione del THC e 
                        quindi forniscono un parametro fisso, elemento 
                        essenziale per verificare gli effetti di una sostanza 
                        durante un esperimento. Ancor più importante è la 
                        disponibilità di THC sintetico in capsule che 
                        costituisce una valida alternativa alla cannabis da 
                        fumare. Ci sono stati numerosi studi sull’impiego del 
                        THC e dei suoi derivati nel trattamento di una notevole 
                        varietà di patologie. Coloro i quali, però, sostengono 
                        l’uso terapeutico del fumo di cannabis rispondono 
                        affermando che il THC è somministrato con maggiore 
                        efficacia attraverso il fumo, che la cannabis è meno 
                        costosa del THC, e che essa è praticamente priva di 
                        effetti dannosi. 
                        Con Martin e Hall, riteniamo che “altre sfide aspettino i medici che 
                        vogliano valutare il potenziale di un farmaco 
                        psicoattivo che può anche avere un efficacia relativa e 
                        deve essere fumato”. 
                        E’ ovvio che la comunità scientifica cerchi l’uso medico 
                        della cannabis che dia più tranquillità di impiego. 
                        Quanto detto sopra non significa che occorra aspettare 
                        un mandato legislativo per portare avanti le ricerche o 
                        per sottoporre già adesso ad un trattamento 
                        rigorosamente controllato i pazienti con sindrome da 
                        AIDS (o dolore cronico) con la cannabis in forma di 
                        sigarette. Quello che è doveroso è che questo non 
                        travalichi l’ambito della sperimentazione, offuscando le 
                        ricerche, che avranno ancora bisogno di numerose 
                        conferme,  per spiegare l’azione dei cannabinoidi sul 
                        sistema biologico e per produrre efficaci farmaci 
                        sintetici per uso medico. Senza questo tipo di 
                        conoscenze, frutto di seri studi in doppio-cieco, con 
                        rigorosi protocolli, e statistiche a lungo termine,  non 
                        emergerà mai alcuna indicazione scientificamente 
                        razionale sull’impiego della cannabis. 
                          
                          
                        3. Considerazioni antropologiche sull’uso di sostanze 
                        stupefacenti
                         
                        Il riferimento 
                        medico-scientifico è importante quando si parla di 
                        sostanze stupefacenti. Conoscerne gli effetti, la 
                        diffusione, i rischi, aiuta già molto a farsi un’idea al 
                        riguardo della legittimità del loro impiego e della loro 
                        liberalizzazione. Però non basta. Di fatto, a quanto 
                        abbiamo esposto in §1 e §2, potrebbe rispondere quella 
                        voce anonima che si ascoltò durante  il concerto di 
                        Woodstock del 1969, quando mezzo milione di ragazzi 
                        invasero una tranquilla comunità nella parte 
                        settentrionale dello Stato di New York, dando vita al 
                        più grande raduno giovanile della storia del rock. Dagli 
                        altoparlanti, infatti, venivano diffusi messaggi del 
                        tipo: “L’LSD che circola per il campo non è di buona 
                        qualità. Comunque, fate come vi pare. La salute è la 
                        vostra. Noi vi abbiamo avvertito”. 
                        D’altro canto vorremmo 
                        entrare a fondo nell’analisi antropologica del fenomeno 
                        droga, il che, oltre a fornirci qualche possibile via 
                        d’uscita dall’impasse generale sul tema,  può 
                        darci occasione di tornare ai fondamenti stessi 
                        dell’agire e dell’esistere personale. In questa 
                        fase seguiremo il metodo di indagine sintetizzato così 
                        da Giovanni Paolo II: 
                          
                        "La prima parola 
                        sull'uomo è offerta dalla scienza - la fenomenologia 
                        antropologica precede l'antropologia filosofica - come 
                        concreto punto di partenza, ma l'ultima parola resta 
                        riservata alla metafisica, la quale, mentre riceve dalle 
                        discipline scientifiche un più depurato dato di base, 
                        offre ad esse un inquadramento sintetico ed integrativo, 
                        aprendole alla prospettiva dei valori e dei fini. Le 
                        scienze umane sono quindi indispensabili per una 
                        metafisica aggiornata, ma esse sono assolutamente 
                        inabili a rispondere alla questione posta all'uomo dalla 
                        singolare esperienza costitutiva del suo essere, quella 
                        cioè del contrasto insuperabile tra la 
                        finitezza-contingenza e l'illimitata trascendenza" 
                        (Giovanni Paolo II, Insegnamenti, [1979], pp. 
                        541-545). 
                        
                                                                                                                                                                                                         
                        Insegnamenti
                         
                        Siamo abituati a 
                        richiami, pubblicità-progresso, cartelli di “pericolo”,
                        rush di controlli da parte dell’autorità a tal 
                        punto da arrivare a convincerci che questo sia tutto. 
                        Tutto ciò che si può onestamente fare. E’ vero che 
                        questo ha la sua importanza: la coscienza personale 
                        dell’individuo è fatta in modo tale da orientarsi in 
                        base agli stimoli che riceve. L’esempio degli altri, 
                        l’educazione familiare, la pressione dell’ambiente, 
                        condizionano ogni uomo. Questa potenzialità, questa 
                        plasticità, è nella natura stessa dell’essere umano, 
                        deriva direttamente dalla sua natura socievole ed è, con 
                        buona pace di Rousseau, un’importante chance per 
                        lo sviluppo armonico della personalità ed il 
                        raggiungimento del fine naturale (cui ogni uomo aspira 
                        ed in vista del quale sceglie tutti gli altri beni) che 
                        è la felicità.
                         
                        Questo dato, costante 
                        negli studi di antropologia filosofica da vari millenni, 
                        forse dovrebbe essere tenuto più in considerazione da 
                        coloro i quali si orientano – sempre con il fine di 
                        limitarne il danno e la diffusione – verso la 
                        legalizzazione della droga. D’altronde basta dare 
                        un’occhiata al degrado di quartieri-ghetto costituitisi 
                        in molte città del centro-nord Europa, come per esempio 
                        Amsterdam, per constatarne gli effetti. L’esistenza di 
                        leggi positive in materia tanto importante per la 
                        salute, l’ordine pubblico e la stessa stabilità di un 
                        intero paese, 
                        aiuta l’individuo ad orientarsi con maggior decisione 
                        nel senso del bene morale, spinto dalla responsabilità e 
                        dall’urgenza di dover contribuire insieme ad altri al 
                        raggiungimento del bene comune. 
                          
                        “Un uomo buono è un uomo 
                        la cui coscienza traduce il «non mi è lecito farlo» in 
                        un «non mi è possibile farlo». Il legislatore 
                        dell’antica Roma ha formulato quest’idea, con la 
                        chiarezza che gli è propria, nei seguenti termini: «Ciò 
                        che va contro il rispetto dell’uomo, in breve contro i 
                        buoni costumi deve essere considerato come se fosse 
                        impossibile»”. 
                          
                        Però, dicevamo, se 
                        questo è importante (la presa di posizione chiara 
                        dell’autorità costituita) è pure vero che nulla può 
                        sostituire la coscienza del singolo, che dovrebbe avere, 
                        nella nostra società occidentale, tutti gli elementi per 
                        valutare la liceità o meno di certi atteggiamenti. “Il 
                        filosofo precristiano Seneca scriveva: «Abita in noi uno 
                        spirito sacro che osserva e vigila sulle nostre buone e 
                        cattive azioni»”. 
                        “I sofisti – fa notare ancora Spaemann - che erano i 
                        professori di scienza della politica di quel tempo 
                        [Atene V sec a.C.], insegnavano che la giustizia sta 
                        appunto nel fatto che il forte fa ciò che gli torna 
                        utile. Platone replicò a questa affermazione: «È giusto 
                        ciò che è utile al forte oppure ciò che questi pensa che 
                        gli sia utile?». E chiese ulteriormente: che cosa è 
                        davvero utile all’uomo? Per saperlo, bisogna sapere che 
                        cos’è l’uomo”.  
                          E’ a questo sapere  
                          cosa è l’uomo che dobbiamo puntare, se davvero cerchiamo 
                          soluzioni non effimere, ma efficaci perché  connaturali 
                          a questa persona e non imposte da fuori; l’ente uomo 
                          mal sopporta forzature esterne ed interpretazioni parziali 
                          della sua natura: la storia ce lo dimostra. Pertanto, 
                          riportando in un primo momento all’attenzione di chi 
                          legge alcuni fondamenti di antropologia filosofica (discorso 
                          della ragione sull’uomo che prescinde da altre fonti, 
                          come i dati rivelati, la filosofia della religione, 
                          etc.) vorremmo successivamente analizzare, a partire 
                          dal tema delle droghe leggere, alcuni nodi che stanno 
                          al cuore del disagio esistenziale dell’uomo contemporaneo. 
                          
                        3.1 Richiami generali
                        
                        sulla struttura della persona umana
                          
                        3.1.1 Gradi di vita: vegetativa, sensitiva, intellettiva.
                        Anche se 
                        tutti gli esseri vivi condividono determinate 
                        caratteristiche (movimento, nutrizione, unità), non 
                        tutti sono uguali, ovvero, non tutti vivono nello 
                        stesso modo. Ci sono in essi dei gradi, una 
                        scala successiva di perfezioni nelle loro forme di vita: 
                        ciò è oggetto di studio dettagliato da parte della 
                        zoologia. Questa scala può dividersi secondo  
                        gradi di immanenza. Ma cos’è l’immanenza? Diremmo 
                        che quanta maggiore è la capacità di un essere vivo di 
                        conservare dentro di sé un’operazione, più alto è il suo 
                        livello di immanenza. Mangiare un frutto, rimuginare o 
                        pensare ad una persona cara, sono tre gradi differenti 
                        di immanenza, di una perfezione ogni volta maggiore. 
                        
                        Ciononostante, non solo l’immanenza, ma anche le altre 
                        caratteristiche della vita, si danno negli esseri vivi 
                        superiori in grado più perfetto che negli inferiori. Nei 
                        superiori c’è più movimento, più immanenza e possiamo 
                        più propriamente parlare di autorealizzazione che negli 
                        inferiori. Questa gerarchia nella scala 
                        della vita può dividersi in tre gradi, che descriveremo 
                        sommariamente di seguito, enumerando alcune differenza 
                        importanti tra di essi:  
                          1) Il primo 
                          grado è la vita vegetativa, propria delle piante e di 
                          tutti gli animali superiori ad esse. Ha tre funzioni 
                          principali: la nutrizione, la crescita e la riproduzione.Nella prima l’inorganico esteriore passa 
                          a formare parte dell’unità dell’essere vivo. La nutrizione 
                          è subordinata alla crescita, identificata sopra con 
                          l’autorealizzazione. La riproduzione consiste nella 
                          capacità di dare origine ad una replica di sé stesso: 
                          un altro essere vivo della propria specie. Gli esseri 
                          che non si riproducono sessualmente si dissolvono nei 
                          loro generati. Invece, quelli che lo fanno sessualmente 
                          hanno un sottosistema corporale specializzato per questa 
                          funzione, che gli permette di continuare ad esistere 
                          dopo essersi riprodotti, con il quale si rendono indipendenti 
                          da questa funzione: “nella scala della vita la rilevanza 
                          dell’individuo e la sua dipendenza dalla specie è sempre 
                          maggiore fino a giungere all’uomo, nel quale la rilevanza 
                          dell’autorealizzazione individuale eccede pienamente 
                          quella della specie”.  
                          2) Il secondo grado 
                          è quello della vita sensitiva, che distingue gli animali 
                          dalle piante. La vita sensitiva consiste soprattutto 
                          nell’avere un sistema percettivo che aiuta a compiere 
                          le funzioni vegetative mediante la captazione di quattro 
                          tipi di stimoli: il presente, il distante, il passato 
                          e il futuro. In quanto vengono captati questi stimoli 
                          producono un tipo o l’altro di risposta. La captazione 
                          si realizza mediante la conoscenza sensibile o sistema 
                          percettivo. Lo stimolo esterno captato attraverso 
                          la vita sensitiva produce una risposta: l’istinto, 
                          che è “la tendenza o riferimento dell’organismo biologico 
                          ai suoi obiettivi più basici mediato dalla conoscenza”; per esempio la fame o la pulsione 
                          sessuale. Si può dire che mediante l’istinto l’animale 
                          a) capta o conosce b) obiettivi non modificabili, geneticamente 
                          o programmati, con i quali soddisfa le sue necessità 
                          vegetative. Tramite la vita sensitiva, l’animale controlla 
                          in certo modo le operazioni che portano al suo fine 
                          istintivo. Tuttavia il circuito stimolo-risposta 
                          in lui non può essere interrotto ma soltanto conosciuto 
                          e, in certa misura, regolato.  
                            
   
                        La 
                        conoscenza sensibile nell’animale interviene nel 
                        comportamento, ma non ne è all’origine: c’è un certo 
                        automatismo. I fini istintivi, lo ripetiamo, all’animale 
                        vengono dati; essi  non sono fini individuali, ma
                        specifici ovvero propri della specie e 
                        identici a quelli di qualsiasi altro individuo. 
                        L’individuo animale non li sceglie: li riceve 
                        geneticamente e non può non dirigersi verso di essi. 
                        Una volta conosciuto lo stimolo, nell’animale, la 
                        risposta si scatena necessariamente. 
                          
                        Riassumendo 
                        pertanto le tre caratteristiche essenziali della vita 
                        sensitiva, tali come le troviamo negli animali, possiamo 
                        così elencarle: 
                        ·       
                        
                        Il carattere 
                        non modificabile., o “automatico” del circuito 
                        stimolo-risposta; 
                        ·       
                        
                        L’intervento 
                        della sensibilità nello scaturire della condotta; 
                        ·       
                        
                        la 
                        realizzazione di fino esclusivamente specifici, ossia 
                        propri della specie. 
                          
                        Un’ultima riflessione 
                        che deriva da quanto sopra è la seguente. Se abbiamo 
                        detto che negli animali i fini della loro specie, non 
                        modificabili e propri del loro istinto, sono sempre già 
                        dati, risulterà allora che i mezzi si conoscono solo in 
                        presenza dei fini e subordinati ad essi. Gli animali 
                        non hanno la capacità di separare i mezzi dai fini. 
                        Se i fine a cui tende non è istintivamente percepito, 
                        l’animale, per così dire, non si “preoccupa” dei mezzi. 
                        
                        
                        3) 
                        Il terzo grado di vita è la vita intellettiva, propria 
                        dell’uomo. Qui avviene qualcosa di singolare; si 
                        interrompe la necessità o automatismo del circuito 
                        stimolo risposta:
                          
                        "Al di sopra degli 
                        animali, vi sono gli esseri che si muovono in ordine ad 
                        un fine che loro stessi si danno, cosa impossibile da 
                        fare se non per mezzo della ragione e dell'intelletto, 
                        ai quali corrisponde conoscere la relazione che c'è tra 
                        il fine e ciò che conduce ad ottenerlo, e subordinare 
                        questo a quello. Pertanto il modo più perfetto di vivere 
                        è quello degli esseri dotati di intelletto, che sono a 
                        loro volta quelli che con maggior perfezione muovono sé 
                        stessi". 
                          
                        Le caratteristiche 
                        proprie e differenziali di questo grado superiore di 
                        vita sono le seguenti: 
                        a) L'uomo sceglie 
                        intellettualmente i suoi fini, anche se non tutti, 
                        poiché conserva quelli specifici-vegetativi, propri 
                        della specie e pertanto di tutti gli individui di essa. 
                        Oltre a questi fini specifici, l’uomo da a se tesso 
                        altri fini che sono esclusivamente individuali, cioè che 
                        altri individui della sua specie non hanno, anche se 
                        tutti gli uomini condividono un fine comune ed ultimo: 
                        la felicità. 
                        b) Nell’uomo,  i 
                        mezzi che conducono ad un fine non sono dati,  
                        nemmeno quelli riferiti ai fini vegetativi,  ma 
                        bisogna procurarseli (i mezzi scelti per ottenere 
                        qualcosa non sempre sono adeguati; in tal caso se ne 
                        possono usare altri). C’è pertanto separazione tra 
                        mezzi e fini: una volta che i fini sono stati 
                        fissati o vengono dati dalla vita vegetativa, bisogna 
                        scegliere o inventare anche i mezzi, ovvero il 
                        modo di raggiungerli. 
                        La sommaria 
                        classificazione sopra esposta dei gradi di vita è molto 
                        importante, per questo deve essere ampliata per essere 
                        meglio compresa. Pertanto adesso ci concentreremo sulla 
                        vita sensitiva così come si da nell’uomo, e dedicheremo 
                        il capitolo seguente, alle caratteristiche della vita 
                        intellettiva. Dalla comprensione di entrambe otterremo 
                        una visione basilare e fondamentale della psicologia 
                        umana. 
                          
                        3.1.2 Il principio intellettivo della condotta umana
                        Abbiamo detto che 
                        nell’uomo, dotato di vita intellettiva, non tutti gli 
                        obiettivi delle sue attività ed il modo di portarli a 
                        termine, vengono forniti dalla programmazione 
                        filogenetica. Questi sono a carico della scelta e 
                        l’apprendimento individuali. Pertanto, dato che 
                        l’uomo sceglie e cerca i fini, e prova dei mezzi per 
                        questi fini, poiché si propone obiettivi propri e non 
                        solo della specie, l’istinto viene in buona parte 
                        completato o rimpiazzato dall’apprendimento. Nell’uomo 
                        l’apprendimento è molto più importante dell’istinto. La 
                        scelta dei fini e dei mezzi e la loro messa in opera, 
                        sono in buna parte appresi, imparati. L’uomo, a 
                        differenza degli animali, deve imparare quasi tutto 
                        quello che fa: camminare, mangiare, parlare, leggere, 
                        insomma: vivere. 
                        All’uomo non basta 
                        nascere, crescere, riprodursi e morire per raggiungere 
                        l’autorealizzazione propria (cosa invece che succede ad 
                        una patata o ad un passero). La sua vita non è 
                        automatica, né ha solo fini vegetativi, specifici. 
                        Ciò che è proprio dell’uomo è la capacità di dare a sé 
                        stesso dei fini e di scegliere i mezzi per raggiungerli.
                         Questo è la libertà: l’uomo è padrone dei suoi 
                        fini, perché ha la capacità di perfezionare se 
                        stesso raggiungendoli. In quanto egli  è padrone di se è 
                        persona 
                        (3.2). Questo può anche esprimersi in altro modo: 
                        1)                 
                        Nell’uomo 
                        la conoscenza (quella intellettuale, più in concreto) 
                        dà inizio al comportamento, ovvero, il 
                        comportamento umano autentico è innescato dalla 
                        conoscenza intellettuale. Perché? Perché se abbiamo 
                        detto che l’uomo sceglie i suoi fini ed i mezzi che ad 
                        essi conducono, questa scelta si materializza tramite 
                        questa conoscenza: per esempio, cominciare a suonare il 
                        sax tenore è una decisione “inventata” , per così dire, 
                        dall’intelletto. 
                        2)                 
                        Nell’uomo
                        si rompe il circuito stimolo-risposta e rimane 
                        aperto. Questo vuol dire che la biologia umana è 
                        “interrotta” dalla vita intellettiva, dall’agire 
                        dell’intelletto; potremmo dire che nell’uomo il pensare 
                        è tanto radicale e naturale quanto la biologia 
                        nell’essere irrazionale, e pertanto questa non precede 
                        quello: 
                           
                            
                          
                        Se sono in 
                        una città dove l’acqua del rubinetto non è potabile ed 
                        ho una gran sete, posso prendere la decisione di non 
                        bere, o di bere e correre il rischio di prendere una 
                        tossinfezione gastro-intestinale. Il fatto biologico di 
                        avere fame non mi dice nulla riguardo al fatto se io 
                        debba mangiare un piatto o un altro: per farlo devo 
                        decidere tra hamburger, pollo con patatine o qualsiasi 
                        altra cosa. Questo vuol dire che nell’uomo  
                        l’appagamento  dell’istinto esige l’intervento della 
                        ragione, che può decidere di bere o non bere, 
                        mangiare o non mangiare, mangiare una cosa o l’altra. 
                        “La natura biologica umana non è praticabile al margine 
                        della ragione nemmeno sul piano della mera sopravvivenza 
                        biologica”. 
                        L’uomo, si è già detto, ha bisogno di imparare a 
                        vivere. E per farlo deve ragionare. 
                        3) Quanto 
                        sopra ha un evidente corollario: l’uomo se non 
                        controlla i suoi istinti tramite la ragione, non li 
                        controlla in nessun modo. Gli uccelli migratori 
                        hanno un meccanismo biologico che li porta a volare 
                        come, verso dove e quanto devono: non hanno bisogno di 
                        impararli. L’uomo, invece, deve imparare a moderare con 
                        la ragione la forza dei suoi istinti se  non vuole fare 
                        danno a se stesso o ad altri, come avviene, per esempio, 
                        con l’istinto aggressivo. Se l’uomo non si comporta 
                        secondo ragione, i suoi istinti mancano di misura e 
                        diventano smisurati, cosa che non avviene agli 
                        animali, perché in essi il controllo è incosciente e 
                        automatico. Solo l’uomo può trucidare o compiere
                        stragi, per esempio; l’animale uccide o 
                        si difende o caccia, etc. ma una volta 
                        raggiunto l’obiettivo desiste: è l’istinto che gli dice 
                        che la misura è colma. L’uomo se non è ragionevole, è 
                        peggiore degli animali, in quanto la forza dei suoi 
                        istinti allora cresce in lui  in modo eccessivo, perché 
                        non vi è nessuna legge che li moderi. Negli animali, 
                        invece, questa legge è istintiva: si da allo stesso modo 
                        in tutti gli individui della stessa specie. Questa è una 
                        delle conseguenze della libertà. 
                          
                        3.1.3  Plasticità delle tendenze umane
                        Riunendo insieme le osservazioni fin qui fatte, possiamo 
                        tracciare uno schema semplificato della 
                        percezione umana (parte superiore) e della percezione 
                        animale (parte inferiore), ed anche indicare con 
                        maggiore precisione le differenze che ciò implica per le 
                        inclinazioni umane rispetto a quelle animali. Poiché 
                        è differente il modo di percepire nell’uno e nell’altro, 
                        è anche differente il modo di tendere (vedi Fig. 2) 
                        Il circuito stimolo-risposta nel caso dell’uomo è 
                        differente rispetto a quello animale. Queste sono le 
                        quattro grandi differenze: 
                        1) L’uomo può percepire il reale in sé, senza che
                        intervenga necessariamente un interesse fisico, 
                        senza stabilire una relazione tra l’oggetto percepito e 
                        la propria situazione corporea. L’animale, invece, 
                        riporta gli oggetti solo alle sue necessità fisiche, e 
                        li percepisce nella misura di tali necessità e appetiti. 
                        L’uomo, d’altra parte, non ha una percezione ristretta 
                        come quella dell’animale: questo ha alcuni recettori 
                        limitati e alcune risposte limitate e adeguate ai 
                        recettori, e percepisce l’oggetto solo in quanto 
                        conveniente o non conveniente per sé. È specifico 
                        dell’uomo, in primo luogo, avere la capacità di 
                        percepire le cose senza porle necessariamente in 
                        relazione con la sua situazione fisica: in lui il 
                        circuito stimolo-risposta è aperto, come abbiamo già 
                        detto. 
                        2) Nell’uomo i mezzi necessari per soddisfare i 
                        fini biologici non sono predeterminati: tale 
                        soddisfazione richiede l’intervento 
                        dell’intelligenza che sceglie il modo di 
                        raggiungere quei fini istintivi. Le inclinazioni umane 
                        naturali non impongono forme determinate di 
                        comportamento; per esempio: la cultura gastronomica è 
                        differente in ogni popolo, però soddisfa la stessa 
                        necessità fisica. È esclusivamente umano in secondo 
                        luogo, lo scegliere il modo di soddisfare le proprie 
                        necessità istintive. 
                        3) Però, d’altra parte, l’uomo è capace di proporsi 
                        nuovi obiettivi, e alcuni di essi non soddisfano 
                        necessità vitali né fisiche, ma solo culturali. È 
                        esclusivamente umano, in terzo luogo, aggiungere alle 
                        proprie inclinazioni vitali finalità più alte, di tipo 
                        tecnico, culturale, religioso, ecc. . 
                        4) Le tendenze sono inclinazioni al bene. Le finalità 
                        non istintive, verso le quali l’uomo può dirigersi, 
                        possono diventare anch’esse un oggetto di tendenza 
                        mediante un’inclinazione appresa per ripetizione di 
                        atti, chiamata abito. L’abito sarebbe quindi 
                        un’inclinazione, non naturale ma acquisita, per 
                        realizzare certe azioni. Si è già detto che nell’uomo 
                        l’apprendimento (e ora aggiungiamo: e gli abiti da esso 
                        derivati) rimpiazza in buona parte all’istinto. Gli 
                        abiti possono essere buoni o cattivi, favorevoli o 
                        pregiudiziali per la crescita dell’uomo. Esempi di abiti 
                        pregiudiziali sono appunto l’uso di droghe o 
                        l’alcolismo, abiti (quando non portano al bene ma ne 
                        allontanano l’uomo, si direbbero più propriamente 
                        vizi) che cercano il piacere dell’eccitazione o 
                        dell’evasione che questa euforia provoca. In questo caso 
                        si tratta di un abito pregiudiziale che riguarda il modo 
                        di soddisfare una necessità del bere che non è 
                        esattamente biologica. Per tanto, in quarto luogo, è 
                        specifico dell’uomo acquisire abiti mediante un 
                        apprendimento che rimpiazza l’istinto. 
                        Dai punti precedenti deriva una conclusione importante:
                        nell’uomo è decisivo l’apprendimento e l’abito 
                        che ne deriva, anche a livello sensibile; l’istinto 
                        biologico è appena abbozzato, incipiente e limitato. 
                        Essere vivo non basta, è necessario imparare a vivere: 
                        la qualità della vita dipende dal livello di 
                        apprendimento. La spontaneità biologica nell’uomo è 
                        insufficiente, molto debole, approda a ben poco, 
                        esige un pronto e deciso intervento degli abiti. 
                        Oggigiorno non si accetta facilmente quest’ultima 
                        conclusione: si pensa che l’importante è che la forza 
                        vitale si manifesti spontaneamente, come se la pura 
                        biologia fosse un livello umano in se stesso sufficiente: 
                        tuttavia, non c’è biologia umana senza apprendimento, 
                        senza abiti e senza cultura. 
                        Considerare l’uomo come pura biologia, come 
                        puro vivere, è semplicemente un errore, significa 
                        non considerare nemmeno la biologia umana, poiché 
                        questa ha bisogno dell’apprendimento, della tecnica e 
                        della cultura, senza cui l’uomo non è nemmeno 
                        biologicamente realizzato. Per comprendere quest’ultima 
                        considerazione sarebbe necessario – ma non è fattibile 
                        all’interno dei limiti  del nostro lavoro -  parlare 
                        dell’educazione e dell’aiuto che l’uomo riceve 
                        dall’ambiente familiare e sociale per poter terminare 
                        tale apprendimento, per sopravvivere e per essere 
                        produttivo. 
                          
                        3.2 Considerazioni sull’uso di sostanze stupefacenti 
                        nell’attuale momento storico
                        “E chiese ulteriormente: 
                        che cosa è davvero utile all’uomo? Per saperlo, bisogna 
                        sapere che cos’è l’uomo”. Sull’onda della domanda di 
                        Platone abbiamo indagato a volo d’uccello gli elementi 
                        fondamentali che l’osservazione e la ragione ci hanno 
                        indicato come i quark dell’agire umano, i mattoni 
                        dell’agire libero e responsabile dell’uomo. I 
                        presupposti per il raggiungimento del fine naturale: la 
                        felicità. Proviamo adesso ad applicare queste nozioni 
                        alla dinamica droga-persona e ad analizzare da questo 
                        punto di vista – quello antropologico, non quello 
                        ideologico, politico o sociologico – la dinamica di tale 
                        relazione. 
                         Per evitare analisi 
                        affrettate, e soluzioni, pertanto, dannose, vale la pena 
                        tornare sul dato secondo il quale la maggior parte dei 
                        giovani inizi il consumo di droga spinta da curiosità e 
                        pressione dell’ambiente e non da particolari situazioni 
                        limite (povertà, malattia, prostrazione psicologica o 
                        disagio esistenziale conclamato). Sostenere, viceversa,  
                        questa seconda ipotesi equivarrebbe a dichiarare un 
                        terzo dei giovani occidentali debosciati, instabili, 
                        corrotti e saprofiti del sistema sociale già in 
                        partenza. Dai dati emersi nella prima parte dello 
                        studio riguardanti la diffusione e l’epidemiologia del 
                        consumo di droghe leggere, 
                        le cose stanno proprio al contrario. E’ la droga che 
                        riduce i giovani, (potenzialmente felici e realizzati), 
                        in  stato di instabilità, corruzione morale, 
                        alienazione. Sarebbe il caso di cominciarci a chiedere 
                        come mai questo avviene, sotto gli occhi di genitori, 
                        amici e formatori,  prima di ripartire, lancia in resta, 
                        con la prossima campagna di liberalizzazione o di 
                        pubblicità- progresso. 
                          
                        3.2.1 Droga, evasione 
                        e storia 
                        Sono parecchi 
                        ultimamente, i testi pubblicati, i brani musicali, i 
                        prodotti della cinematografia che mettono in risalto la 
                        capacità che ha l’uomo di vivere fuori o dentro la 
                        propria storia personale. 
                        Viviamo in un contesto sociale che ci spinge a vivere a 
                        “segmenti”, come se quello che faremo domani non avesse 
                        nessun legame con ciò che abbiamo fatto oggi; è la 
                        sublimazione della libertà intesa come illimitata 
                        possibilità di scegliere (utopia lo è per l’uomo; 
                        realtà attuale, soltanto in Dio). Quando l’individuo 
                        vede che non è così, allora si droga. Si droga per 
                        evitare la necessaria consequenzialità dei suoi atti, si 
                        droga con la cannabis, se ha i soldi con la 
                        cocaina, ma anche in mille altri modi “legali”.  
                          E’ bene pertanto ricordare 
                          che è scomodo giocare a fare Dio, quando non lo si è; che la felicità 
                          è a portata di mano per ogni uomo, ma a condizione che 
                          il suo progetto vitale si sviluppi in condizioni ben 
                          precise dal punto di vista storico-esistenziale:  
                          
                        “La vita individuale 
                        consiste in una sequenza di stati nel tempo. Perché la 
                        vita possa riuscire, questi stati non debbono rimanere 
                        staccati l’uno dall’altro come negli schizofrenici. 
                        Felicità significa armonia, amicizia con sé stesso, e 
                        questo presuppone che mi debba essere possibile volere 
                        con continuità. Devo poter cominciare oggi qualcosa 
                        sapendo che, se non sopravviene nessun imprevisto, 
                        domani lo continuerò. E deve essere ancora accettabile 
                        per me oggi quello che io stesso ho ritenuto buono. 
                        Laddove i nostri stati e i nostri comportamenti sono 
                        soltanto funzione di casuali stimoli esterni o di stati 
                        d’animo interiori, laddove essi non si fondano sulla 
                        considerazione di un ordine obiettivo di valori, ci 
                        manca il terreno sul quale noi possiamo raggiungere 
                        l’unità, l’accordo con noi stessi. In questo caso però 
                        non ci sarà neppure accordo con gli altri”. 
                          
                        Sempre in quest’ambito, 
                        fa sentire il suo influsso attualmente il venir meno 
                        della stabilità nei  rapporti interpersonali familiari. 
                        Ricordavamo che l’inizio dell’esperienza del consumo di
                        cannabis, la più diffusa delle droghe tra i 
                        giovani, non avviene quando il soggetto è 
                        “incontrollato”, dopo i 18 anni o quando vive già fuori 
                        di casa. L’inizio è quasi sempre tra i 14 e i 16 anni: 
                        età, quindi,  in cui il giovane vive in famiglia e 
                        frequenta una scuola. Ci si chiede: ma i genitori, tanto 
                        attenti a vagliare usi e costumi degli amici dei figli, 
                        come fanno a non accorgersi quelli dei propri pargoli? 
                        La droga denuncia pertanto, spesso, la deriva dei 
                        rapporti interpersonali all’interno della famiglia. Per 
                        evitare ciò, basterebbe che i genitori dedicassero più 
                        tempo (quantitativamente e qualitativamente) ai propri 
                        figli suscitandone la fiducia e il dialogo. L’ideale 
                        sarebbe sentire che “con papà si può parlare di tutto”; 
                        allora attraverso circostanze anche delicate, proprie o 
                        degli amici, il ragazzo andrebbe incontro ad una 
                        profonda maturazione della propria personalità, 
                        esperienza e vita.  
                        “A differenza degli 
                        animali – aggiunge Spaemann -  gli uomini trasformano 
                        sempre anche con il loro agire le condizioni entro cui 
                        esso si svolge. È quello che chiamiamo storia. Ma non 
                        possono farlo se prima non accettano un quadro dato per 
                        il loro agire. Chi non può o non vuole farlo è rimasto 
                        ad uno stato infantile. Tra le condizioni date non vi è 
                        soltanto il dato esterno del nostro agire, ma anche il 
                        nostro essere fatti in un certo modo, la nostra natura, 
                        la nostra biografia. Non soltanto la realtà al di fuori 
                        di noi è quella che è, ma anche noi stessi siamo in una 
                        certa misura quello che siamo senza poterlo cambiare. 
                        Certo non presenta una buona scusa chi, avendo fatto del 
                        male ad un altro, semplicemente constata: «Sono fatto 
                        così». Infatti il modo in cui siamo fatti non è un 
                        fattore fisso che determina il nostro agire, ma viene al 
                        contrario sempre anche formato dal nostro agire. (...) È 
                        importante pensarci perché la vita retta esige tra 
                        l’altro la chiara consapevolezza che con tutto quello 
                        che facciamo — ogni parola, ogni gesto, ogni 
                        lettura, ogni trasmissione televisiva, ogni omissione —
                        facciamo qualcosa di irrevocabile nella formazione di 
                        noi stessi. Il significato dell’accaduto può 
                        cambiare, possiamo intraprendere una nuova strada, ma 
                        niente è più come prima. Il nostro stesso agire assume 
                        per noi con il passare del tempo la figura del destino. 
                        Chi non lo vuole non può agire. Ma questo non gli è 
                        neppure di nessun aiuto, perché anche l’omissione 
                        diventerebbe per lui destino”.   
                         
                        Obiettivo di tale 
                        maturazione, poi, dovrà essere sempre la coerenza, 
                        l’accordo con sé stessi, la tanta agognata 
                        autenticità. Ma l’autenticità dice fedeltà ad un 
                        origine; pertanto la paternità – fonte dui questa 
                        origine -  è fondamentale per il consolidarsi 
                        dell’identità e dell’autenticità del singolo e non deve 
                        mai venir meno. Allora per il giovane la vita sarà come 
                        per i trapezisti: quando sotto c’è la rete – paternità, 
                        autenticità, certezza delle proprie origini, sostegno 
                        incondizionato al livello dell’essere, non dell’avere o 
                        del riuscire – allora si “osa”, ci si lancia 
                        nell’avventurosa realizzazione di esercizi mozzafiato 
                        provati più volte. E’ l’individuo che riesce ad 
                        ascoltare la voce della propria natura, finalmente 
                        chiara e squillante: sii te stesso! Genitori 
                        capaci di rendere possibili tali esistenze sono 
                        promotori di personalità talmente creative da produrre 
                        risposte inedite con le proprie vite. Tali figli 
                        onoreranno perennemente e ricorderanno indelebilmente 
                        tali figure. 
                        Ma se la rete non c’è… 
                        tutto è pericolo, insicurezza, frustrazione. 
                        L’’esercizio’ lo si conosce, lo si è visto fare, lo si è 
                        provato tante volte; ma adesso dall’alto si pensa solo 
                        ai rischi, alla figuraccia, alla “pelle”. ‘Trapezzisti’ 
                        così pullulano nei licei e nelle università della 
                        società occidentale: i “maestri” potrebbero aiutarli; ma 
                        non se ne accorgono o giocano a scaricabarile? 
                          
                        3.2.2 Droga, felicità 
                        e  paura della sofferenza
                        Un’altra considerazione 
                        che aiuterebbe forse i potenziali consumatori di droghe 
                        leggere, è che il fallito non è colui che soffre. 
                        A volte l’idea del fallito, del vinto, (o il timore di
                        chi-star-per-diventarlo) può sospingere verso 
                        illusori orizzonti di autorealizzazione personale. 
                        Dapprima si perde la sincerità con gli altri, si tende a 
                        mimetizzarsi non volendo far conoscere i propri limiti o 
                        insuccessi (quelli che tutti hanno e imparano a 
                        conoscere: a scuola, in ambito affettivo, nel confronto 
                        con gli altri, nello svolgimento di un compito o una 
                        professione, etc.). Poi si tende a non essere più 
                        sinceri neanche con sé stessi. Allora si cerca 
                        l’evasione, ai aggira l’ostacolo della sofferenza. Non è 
                        solo edonismo, frivolezza o superficialità. In ogni 
                        caso, qualunque cosa sia, siamo d’accordo, è frutto di 
                        una valutazione errata. Questa valutazione però, parte 
                        da un presupposto logico, anzi antropologico: la 
                        ricerca di senso. Il senso della vita, oltre una 
                        certa età, comincia a delinearsi come insopprimibile 
                        orizzonte dell’esistere. E’ imperativo il comando che la 
                        persona sente “dentro” e che lo spinge a trovare il 
                        senso della vita. Ma siccome – sta qui il problema – non 
                        si pensa che senso e sofferenza possano andare insieme, 
                        quando si trova il secondo è come se si ricevesse 
                        l’attestato ufficiale di aver perso il primo; e allora 
                        ci si può anche drogare. 
                        Si evade, si tenta di 
                        aggirare la sofferenza, non ci si pensa. Ritorniamo 
                        all’idea già espressa: è una incoercibile necessità 
                        quella che spinge a trovare il senso; questo però è 
                        compagno inseparabile dell’amore che lo è della 
                        sofferenza:  
                          
                        “La felicità è la 
                        capacità di provare dolore, adeguatamente, a causa di 
                        quello che ci sta più o meno a cuore, potendo ancora 
                        consentire all'ordine delle cose che ci stanno a 
                        cuore: a quello stesso che ci espone a sofferenze 
                        possibili. Questo ordine di preferenze di valore, 
                        consentendo a l quale confessiamo la nostra identità 
                        profonda, noi lo chiamiamo anche senso”. 
                        
                                                                                                                                                  
                         
                        Pertanto life goes on, 
                        la vita continua, se si mantiene questo giusto ordine di 
                        valori. E ciò è sempre possibile. L’uomo piuttosto perde 
                        i beni materiali, la vita stessa, ma se lui non vuole, 
                        nessuno – nessun evento infausto, nessun nemico – 
                        gli porterà via la possibilità di essere sé stesso 
                        liberamente. E questo è l’importante, questo rende 
                        felici, il fatto che si stia soffrendo può essere 
                        sintomo che si sta conquistando la propria inedita 
                        maniera di stare nel mondo. Questa realtà sta dentro di 
                        noi: non c’è bisogno di drogarsi per affermarla. 
                        Felice è sinonimo di 
                        riuscito, pieno, giunto a compimento; 
                        e non è un vago sentire, l’ebbrezza del denaro della 
                        droga o del potere. L’evidenza di quanto siano lontani 
                        l’effimero e il reale in questo campo, è l’origine della 
                        nausea dell’uomo sartiano, incapace di riempire questo 
                        abisso che impietosamente, tuttavia, si ritrova a dover 
                        fronteggiare. 
                          
                        "La felicità non è uno 
                        stato d'animo, ma una condizione oggettiva. Reale. (…) 
                        Felice può essere una cosa, non necessariamente una 
                        persona. Una cosa felice è una cosa riuscita. Un 
                        discorso, ad esempio. Un'impresa, una prova. Riuscita, o 
                        adeguata, conforme al suo scopo: un'espressione è più o 
                        meno felice. (...) ma non solo. : felice è in senso 
                        ulteriore, una cosa che ha il potere di infondere vita, 
                        di "ricreare", di fare attingere anche a noi, anche per 
                        poco, a una condizione d'essere più piena, più perfetta. 
                        In cui ci sentiamo ‘più vivi’”. 
                        
                                                                                                                                                  
                         
                        Una persona felice ha il 
                        potere di infondere vita, di ricreare. Una persona che 
                        ha sofferto ed ha amato (e forse ha sofferto perché 
                        amava) è capacissima di infondere vita, di ricreare. 
                        Quale altro traguardo, quale altra verità, quale altro 
                        senso più pieno di questo, più capace di fare vivere 
                        intensamente? L’importante dunque non è il soffrire o il 
                        non soffrire, ma l’essere sé stesso (verità) comunque 
                        (libertà). 
                          
                          
                        3.2.3 Droga alcool e 
                        rapporti interpersonali
                        Per essere meglio accetto al gruppo, per “smollarsi” e riuscire simpatico 
                        alla comitiva o alla ragazza/ al ragazzo, per migliorare 
                        le proprie performance interpersonali, il 
                        giovane, anche, a volte, si droga. 
                        La realizzazione della persona umana avviene solo nel dono sincero di 
                        sé. Questo è un asserto ricco di conseguenze, che 
                        costituisce l’approdo  della filosofia personalista del 
                        XX° secolo. Questa affermazione, densa di riflessi 
                        esistenziali, ci dice anche che frustrare una persona 
                        nel dono di sé, vuol dire toglierle per sempre la 
                        possibilità di essere felice, di realizzarsi. Quando un 
                        individuo vede tarpate le ali del possibile volo (dono) 
                        di sé verso l’altro, è capace di commettere qualsiasi 
                        assurdità: anche il lasciarsi morire. Pertanto una volta 
                        ancora, ciò che si trova alla base di una delle 
                        motivazioni del drogarsi, è un dato vero, 
                        antropologico. Tuttavia ciò che avviene in realtà – 
                        nonostante le “motivazioni” personaliste-relazionali del 
                        drogarsi - è proprio il contrario. Ed è a questo 
                        livello che si evidenzia la pericolosità – e 
                        l’immoralità – dell’uso delle droghe leggere rispetto 
                        agli alcolici.  
                          
                        “mentre infatti l’uso 
                        moderato di questo (alcool) come bevanda non urta contro 
                        divieti morali, ed è da condannare solo l’abuso, il 
                        drogarsi, al contrario, è sempre illecito, perché 
                        comporta una rinuncia ingiustificata e irrazionale a 
                        pensare, volere e agire come persone libere. Del 
                        resto lo stesso ricorso su indicazione medica a sostanze 
                        psicotropiche per lenire in determinati casi sofferenze 
                        fisiche o psichiche, deve attenersi a criteri di grande 
                        prudenza, per evitare pericolose forme di assuefazione e 
                        di dipendenza”. 
                          
                         La droga – secondo gli effetti riportati dagli studi citati prima ai §§ 
                        1.4, 1.5 per la cocaina, e §§ 2.4 e 1.5 per la cannabis 
                        - induce nell’individuo una sospensione dell’esercizio 
                        della libertà; essa fa si che l’uomo sia, sotto 
                        l’effetto della droga, seppure per un tempo limitato, 
                        un po’ meno persona; che riponga per qualche 
                        momento, per qualche azione, il suo essere libero, 
                        volontario e razionale. Questo non è mai ammissibile. 
                        Le motivazioni che rendono illeciti l’uso delle droghe 
                        pertanto – forse è il momento di riconoscerlo 
                        apertamente – non possono essere politiche, ideologiche, 
                        religiose o economiche e nemmeno di ordine pubblico. 
                        Sono di ordine antropologico. Chiunque stia al governo, 
                        l’uomo resta sé stesso; qualunque motivo di convenienza 
                        o di quieto vivere, verrà sempre dopo il mio essere uomo 
                        e quello dei miei simili. Da questo infatti dipende 
                        quello. 
                            
                         
                          
                          
                          
                          
 
 
                            
                              
                              
                             
                               
                               
                              Cfr. S. COHEN, "Recent developments in the 
                              abuse of cocaine", in Bulletin on Narcotics 
                              (1984) vol. II, pp.  3-14.  
                             
                               
                               
                              C. ROSSI,  "A mover-stayer type model 
                              for epidemics of problematic drug use", Bulletin 
                              on Narcotics, (2001). From surveys conducted 
                              among military conscripts, reported in the annual 
                              report on the state of the drug problem in Italy 
                              for the year 1999, published by the National Focal 
                              Point, it appears that, in terms of the reasons 
                              for drug use, the two most mentioned factors were 
                              curiosity (more than 40 per cent) and peer group 
                              pressure (more than 30 per cent)  
                             
                               
                               
                              American Society for Pharmacology and Experimental 
                              Therapeutics and Committee on Problems of Drug Dependence, 
                              "Scientific perspectives on cocaine abuse", 
                              Pharmacologist, vol. 29, 1987, pp. 20-27.  
                              
                             
                               
                               
                              H. Isbell, "Cocaine poisoning", Cecil-Loeb 
                              Textbook of Medicine, 11a ed., Saunders Press, 
                              Philadelphia, 1963; J. R. Di Palma, "Cocaine 
                              abuse and toxicity", American Family Physician. 
                               vol. 24, No. 5 (1981), pp. 236-238; A. A. Nanji 
                              and J. D, Filipenko, "Asystole and ventricular 
                              fibrillation association with cocaine intoxication", 
                              Chest,vol. 85, No. 1 (1984), pp. 132-133.  
                             
                               
                               
                              C. Bose, "Cocaine poisoning", British 
                              Medical Journal, vol. 1, 1913, pp. 16-17; O. 
                              H. Garland, "Fatal acute poisoning by cocaine", 
                              Lancet,vol. 2, 1895, pp. 1104-1105  
                             
                               
                               
                              Cfr. C. Van Dyke and others, "Oral cocaine: 
                              plasma concentrations and central effects", 
                              Science, vol. 100, 1978, p. 211; C. Van Dyke 
                              and others, "Intranasal cocaine: dose relationships 
                              of psychological effects and plasma levels", 
                               International Journal of Psychiatry in Medicine, 
                               vol. 12, No. 1 (1982), pp. 1-13; M. W. Fischman 
                              and C. R. Schuster, "Cocaine self-administration 
                              in humans", Federation Proceedings, vol. 
                              41, 1982, pp. 241-246.  
                             
                               
                               
                              L. Lewin, Phantastic, Narcotic and Stimulating 
                              Drugs.- Their Use and Abuse, E.P. Dutton, New 
                              York, 1931.  
                             
                               
                               
                              Più specificamente il  summary di un 
                              recente studio  sull'argomento  riporta: 
                              "The cardiovascular effects of cocaine may 
                              culminate in clinical episodes of angina pectoris, 
                              myocardial infarction, arrhythmia, and intracranial 
                              hemorrhage. To clarify whether or not cocaine causes 
                              fatalities by these mechanisms, we studied 24 cases 
                              of sudden, apparently natural deaths as a result 
                              of coronary arteriosclerosis (15 cases), hypertensive 
                              cardiovascular disease (4 cases), and intracranial 
                              hemorrhage (5 cases) associated with cocaine use. 
                              In 11 cases, cocaine was found in the blood (average 
                              concentration: 0.57mg/litre; range: 0.05 to 1.45mg/litre), 
                              whereas in the remainder, cocaine or its major metabolite 
                              was found in the urine or other tissues. In the 
                              majority of [the deceased persons], autopsy disclosed 
                              the existence of severe natural disease which could 
                              have been exacerbated by the administration of stimulant 
                              drugs, including cocaine. These data, and a review 
                              of the current medical literature, indicate that 
                              cocaine may precipitate the sudden death of an individual 
                              with undiagnosed cardiovascular disease. A contributory 
                              role of cocaine should be considered in any apparently 
                              natural death occurring in a population where cocaine 
                              abuse is prevalent"; in  R. F. Mittleman 
                              and C. V. Wetli, "Cocaine and sudden natural 
                              death", Journal of Forensic Sciences,  
                              vol. 32, No. 1 (1987), pp. 11-19.  
                             
                               
                               
                              S. Peng and others, "Cardiac pathology following 
                              cocaine abuse", Federation Proceedings, 
                              vol. 46, 1987, p. 728.  
                             
                               
                                
                              H. D. Tazelaar and others, "Cocaine and the 
                              heart", Human Pathology, vol. 18, 1987, 
                              pp. 195-199; S. B. Karch and M. E. Billingham, "Myocardial 
                              contraction bands revisited", Human Pathology, 
                              vol. 7, 1986, pp. 9-13.  
                              
                             
                               
                               
                              Cfr. S. Cohen, “Cocaine Today”, American Council 
                              on Drug Education, 1981, pp. 1-45.  
                              
                             
                               
                               
                              A. WASHTON, Cocaine Addiction, New York,  
                              Norton, (1989), p. 32.  
                             
                               
                               
                              R. Bieleman and others, Lines Across  
                                
                              Europe: Nature and Extent of Cocaine Use in Barcelona, 
                              Rotterdam and Turin   
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                              Changes: The Experience of Using and Quitting  
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                              dependence", British Journal of Psychiatry, 
                              No. 164, 1994, pp. 660-664.  
                              
                              
                             
                               
                                
                              T.G. AIGNER, R.L. BLASTER, "Choice behavior 
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                              Use in Australia, National Drug Strategy Monograph 
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                              Use from the Monitoring the Future Study, 1975-1993, 
                              vol. II: College Students and Young Adults (Rockville, 
                              Maryland, National Institute on Drug Abuse, 1994); 
                              ID., Ibid., vol. I: Secondary School Students.  
                            
                             
                               
                              Fonti: European Monitoring Centre for Drugs and 
                              Drug Abuse Addiction, Annual Report on the State 
                              of the Drugs Problem in the European Union 1997 
                              (Lisbona, 1997); National Institute on Drug Abuse, 
                              Monitoring the Future Study, vol. I (Rockville, 
                              Maryland, 1997); Canadian Centre on Substance Abuse, 
                              Canadian Profile 1997 (Ottawa, 1997); Centre for 
                              Behavioural Research in Cancer, "Australian 
                              Secondary Students Use of Over-the-Counter and Illicit 
                              Substances in 1996" (Novembre,  1998).  
                               a-  Stima 
                              basata sulla percentuale di cannabis rispetto 
                              a tutte le altre droghe illegali (92%) secondo l' 
                               Australian household survey del 1993.  
                               b-  LSD 
                              e altre sostanze allucinogene.  
                               c - Tutte le 
                              sostanze (incluse quelle lecite, come la caffeina); 
                              il numero tra parentesi si riferisce alla sola  
                              metamfetamina.  
                               d - Austria, 
                              Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, 
                              Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, 
                              Spagna, Svezia e Regno Unito.  
                              
                              
                              
                              
                             
                               
                               
                              Si rimanda agli studi: D. S. Kreuz and J. Axelrod, 
                              "i9-tetrahydrocannabinol: localization in body 
                              fat", Science, vol. 1979, 1973, pp. 
                              391-392; E. Johansson and others, "Prolonged 
                              apparent half-life of delta-9- tetrahydrocannabinol 
                              in plasma of chronic marijuana users", Journal 
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                              E. J. Cone, "Blood cannabinoids II. Models 
                              for the prediction of time of marijuana exposure 
                              from plasma concentrations of i9-tetrahydrocannabinol 
                              (THC) and 11-nor-9-carboxy-i9-tetrahydrocannabinol 
                              (THCCOOH)", Journal of Analytical Toxicology, 
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                              L. E. Hollister, "Health aspects of cannabis", 
                               Pharmacological Reviews, vol. 38, 1986, 
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                              Health and Psychological Consequences of Cannabis 
                              Use, National Drug Strategy Monograph Series 
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                              A Health Perspective and Research Agenda (Geneva, 
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                              Per ulteriori precisazioni riguardo la metodologia 
                              da usare rimandiamo a: B.R. MARTIN, W. HALL  
                              Problems of assesing the healt effects of cannabis, 
                              in ID., “The health effects of cannabis: key 
                              issues of policy relevance”, in Bulletin on Narcotics 
                              (1997), vol. I.  
                              
                             
                               
                               
                              C. Tart, "Marijuana intoxication: common experiences", 
                              Nature, vol. 226, 1970, pp. 701-704. A. Weil, 
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                              A. Weil, "Adverse reactions to marihuana", 
                              New England Journal of Medicine, vol. 282, 
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                              G. L. Huber, D. L. Griffith and P. M. Langsjoen, 
                              "The effects of marihuana on the respiratory 
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                              to examine the effects of cannabis on driving skills 
                              and actual driving performance", The Effects 
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                              crash characteristics", Accident Analysis 
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                              Drugs, vol. 20, 1988, pp. 57-65. H. Pope and 
                              D. Yurgelun-Todd, "The residual cognitive effects 
                              of heavy marijuana use in college students", 
                              Journal of the American Medical Association, 
                              vol. 275, 1996, pp. 521-527. N. Solowij, P. T. Michie 
                              and A. M. Fox, "Effects of long-term cannabis 
                              use on selective attention?An event-related potential 
                              study",  Pharmacology, Biochemistry and 
                              Behavior, vol. 40, 1991, pp. 683-688. N. Solowij, 
                              P. T. Michie and A. M. Fox, "Differential impairments 
                              of selective attention due to frequency and duration 
                              of cannabis use", Biological Psychiatry, 
                              vol. 37, 1995, pp. 731-739.  
                             
                               
                               
                              N. Solowij, P. T. Michie and A. M. Fox, "Effects 
                              of long-term cannabis use on selective attention?An 
                              event-related potential study", Pharmacology, 
                              Biochemistry and Behavior, vol. 40, 1991, pp. 
                              683-688. N. Solowij, P. T. Michie and A. M. Fox, 
                              "Differential impairments of selective attention 
                              due to frequency and duration of cannabis use", 
                               Biological Psychiatry, vol. 37, 1995, pp. 
                              731-739.  
                             
                               
                               
                              A. M. G. Campbell and others, "Cerebral atrophy 
                              in young cannabis smokers", The Lancet, 
                              vol. 2, 1971, pp. 1219-1224.  
                             
                               
                               
                              B. T. Co and others, "Absence of cerebral atrophy 
                              in chronic cannabis users: Evaluation by computerized 
                              transaxial tomography", Journal of the American 
                              Medical Association, vol. 237, 1977, pp. 1229 
                              and 1230. J. Kuehnle, J. H. Mendelson and K. R. 
                              David, "Computed tomographic examination of 
                              heavy marijuana users", Journal of the American 
                              Medical Association, vol. 237, 1977, pp. 1231 
                              and 1232.  
                             
                               
                               
                              G. Bernardson and L. M. Gunne, "Forty-six cases 
                              of psychosis in cannabis abusers", International 
                              Journal of Addictions, vol. 7, 1972, pp. 9-16; 
                              G. Chopra and J. Smith, "Psychotic reactions 
                              following cannabis use in East Indians", Archives 
                              of General Psychiatry, vol. 30, 1974, pp. 24-27; 
                              G. Edwards, "Cannabis and the psychiatric position", 
                              in Cannabis and Health, J. D. P. Graham, 
                              ed. (London, Academic Press, 1976).  
                              
                             
                               
                               
                              J. C. Negrete, "Cannabis and schizophrenia", 
                               British Journal of Addiction, vol. 84, 1989, 
                              pp. 349-351. G. Thornicroft, "Cannabis and 
                              psychosis: Is there epidemiological evidence for 
                              an association?", British Journal of Psychiatry, 
                              vol. 157, 1990, pp. 25-33.  
                             
                               
                               
                              W. Hall, N. Solowij and J. Lemon, The Health 
                              and Psychological Consequences of Cannabis Use, 
                              National Drug Strategy Monograph Series No. 25 (Canberra, 
                              Australian Government Publication Service, 1994).  
                             
                               
                               
                              G. Der, S. Gupta and R. M. Murray, "Is schizophrenia 
                              disappearing?", The Lancet, vol. 1, 
                              1990, pp. 513-516.  
                              
                             
                               
                               
                              
                              [77]
                              
                               In questa come in altre materie, bisognerebbe evitare l’approccio 
                              del tipo: altri lo fanno?  molti la considerano 
                              adatta? Allora lo è. Un esempio di questo tipo 
                              di ragionamento portato avanti dai media è il seguente: 
                              “E in Italia? Si è indietro rispetto a questi paesi 
                              perché l'utilizzo di farmaci a base di cannabis 
                              è praticamente inesistente, forse anche per le implicazioni 
                              pratiche e legali implicite nella commercializzazione 
                              in farmacia di una sostanza il cui uso è, di fatto, 
                              proibito dalla legge che considera la cannabis una 
                              droga illegale. Ma emerge anche un altro recente 
                              aspetto del pensiero degli italiani sull'argomento, 
                              del quale, difficilmente, non si potrà tenere conto. 
                              Infatti, in tre diversi e autorevoli sondaggi, rispettivamente 
                              di Farmacoeconomia, Datamedia e Corriere della Sera, 
                              alla domanda: «l'uso terapeutico della cannabis 
                              è lecito?», l'11% ha risposto l'illiceità, il 6%, 
                              è d'accordo ma con l'accortezza di non confondere 
                              farmacopea con legalizzazione; il 22% è d'accordo 
                              in ogni caso”.   
                              F.BUDA, Cannabis per malati?, in “Il Messaggero 
                              Veneto”, 10-06-2002  
                              
                              
                              
                              
                              
                              
                             
                               
                                
                              R. SPAEMANN, op. cit.  99.  
                              
                              
                              
                              
                              
                              
                              
                              
                              
                              
                              
                             
                               
                               
                              Cfr. C. ROSSI,  "A mover-stayer type model 
                              for epidemics of problematic drug use", Bulletin 
                              on Narcotics, (2001). Così l’A. nel testo originale 
                              inglese: “From surveys conducted among military 
                              conscripts, reported in the annual report on the 
                              state of the drug problem in Italy for the year 
                              1999, published by the National Focal Point, it 
                              appears that, in terms of the reasons for drug use, 
                              the two most mentioned factors were curiosity (more 
                              than 40 per cent) and peer group pressure (more 
                              than 30 per cent)”; abbiamo fatto riferimento a 
                              questi dati al §1.5.  
                              
                              
                             
                               
                               R. 
                              SPAEMANN, Concetti Morali Fondamentali, PIEMME, 
                              Casale Monferrato 1993, p. 49  
                              
                             
                               
                               
                              R. SPAEMANN, op. cit.,  p. 117.  
                              
                             
                               
                               
                              Cfr. R. DE MONTICELLI, ibid, 290.  
                             
                               
                               
                              GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla VI Conferenza 
                              internazionale promossa dal Pontificio Consiglio 
                              della pastorale per gli operatori sanitari, 
                              1991, n. 4. Il corsivo è nostro ed evidenzia le 
                              motivazioni profondamente antropologiche del discorso 
                              del Pontefice. Esso, pertanto, è condivisibile anche 
                              da chi non possiede una visione di fede.  
                               |  |