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                              | Associazione Thomas 
                                  International |  |  |  |   
                |  |  
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                                  Italia: ancora sul caso 
                                  Welby |   
                            |  
                                Giugno 
                                  2007. Mario Riccio, il medico anestesista di 
                                  Cremona che ha interrotto la ventilazione meccanica 
                                  a Piergiorgio Welby dopo averlo sedato, dovrebbe 
                                  essere processato per omicidio del consenziente. 
                                  È questo il senso del provvedimento assunto 
                                  dal gip di Roma Renato Laviola che ha respinto 
                                  per la seconda volta la richiesta di archiviazione 
                                  formulata dalla procura chiedendo l'imputazione 
                                  coatta. Nelle 7 pagine di motivazioni, il gip 
                                  osserva che la morte di Welby è stata causata 
                                  "da una sorta di eutanasia passiva" che si è 
                                  sostanziata "in un intervento attivo dell'anestesista 
                                  Mario Riccio", giunto apposta da Cremona a Roma. 
                                  E se esiste "il diritto al rifiuto delle cure", 
                                  in questo caso "non c'è stata mera omissione 
                                  di cure e trattamenti", ma una violazione del 
                                  "diritto alla vita" che se pure non codificato, 
                                  si fonda su norme che sanzionano l'omicidio 
                                  del consenziente e l'istigazione al suicidio. 
                                  Mario Riccio si è detto "sorpreso dalla decisione 
                                  del gip, ma pronto ad affrontare anche il carcere". |   
                            |  
                                Secondo 
                                  alcuni la decisione del gip sarebbe sbagliata, 
                                  perché la legge italiana (e il buon senso) 
                                  prevede che se un paziente (non ancora collegato 
                                  al dispositivo che potrebbe mantenerlo in vita) 
                                  rifiuta di esservi collegato, nessuno può 
                                  obbligarlo a farlo. Se lo stesso paziente accetta 
                                  di essere tenuto in vita da un macchinario e 
                                  poi, dopo un certo periodo di tempo, decide 
                                  di rinunciarvi, non ha senso impedirglielo. 
                                  A meno di non pensare che accettare una terapia 
                                  priva il paziente della possibilità di 
                                  cambiare idea e di esercitare la sua originaria 
                                  possibilità di rifiutarla. Con il rischio 
                                  che il paziente, i familiari e anche il medico 
                                  potrebbero essere indotti a non iniziare una 
                                  terapia, per esempio la ventilazione, solo per 
                                  il timore di non poterla più sospendere 
                                  quando le circostanze dovessero renderla inaccettabile. 
                                  Questi argomenti hanno una loro pertinenza, 
                                  ma tendono a semplificare l’effettiva 
                                  complessità del problema trascurandone 
                                  le numerose implicazioni. E infatti, vero è 
                                  che un paziente può rifiutare anche una 
                                  cura salvavita, ma è anche vero che, 
                                  accettandola, egli accetta di affidarsi alle 
                                  responsabilità del medico, che non può 
                                  essere trattato come un strumento passivo della 
                                  volontà del paziente. E mentre un medico 
                                  non può e non deve costringere un paziente 
                                  a curarsi, è anche vero che un paziente 
                                  non può e non deve costringere un medico 
                                  a compiere un atto che, in alcune circostanze, 
                                  si configura, come ha ritenuto il gip di Roma 
                                  nel caso Welby, come un “omicidio del 
                                  consenziente”. Poco importa che il medico 
                                  in questione, come qui Riccio, sia consenziente: 
                                  se fosse sufficiente questo a rendere legittima 
                                  l’interruzione della vita di un paziente, 
                                  infatti, dovremmo ritenere lecito anche il gesto 
                                  di un medico generico che fornisse un kit per 
                                  il suicidio assistito a un paziente depresso 
                                  che liberamente glielo chiede.  |  |  |   
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                                  Italia e Austria: diritti 
                                  "umani" agli animali? |   
                            |  
                                Aprile 
                                  2007. Hiasl è uno scimpanzé di 
                                  26 anni e vive a Vienna. Catturato nel 1983 
                                  in una foresta della Sierra Leone e destinato 
                                  a un laboratorio per ricerche mediche, per un 
                                  problema di documenti fu fermato alla dogana 
                                  e consegnato a una casa protetta per animali. 
                                  Dove è rimasto in pace fino a pochi mesi 
                                  fa, quando un’animalista anglo-austriaca, 
                                  temendo che Hiasl potesse finire nuovamente 
                                  in uno zoo o fra le mani di uno scienziato, 
                                  a causa della difficoltà dei suoi custodi 
                                  nel coprire le spese per cibo e veterinario, 
                                  ne ha chiesto l’affidamento legale. Poiché 
                                  però l’affidamento può riguardare 
                                  solamente persone vere e proprie, il tribunale 
                                  della città di Mödling ha dovuto 
                                  decidere se riconoscere o meno all’anzianotto 
                                  primate la condizione umana. Il caso è stato seguito con curiosità 
                                  dai media fino in Giappone e in Nuova Zelanda, 
                                  mentre schiere di animalisti intravedevano la 
                                  possibilità di una sentenza dirompente: 
                                  la prima in cui fosse riconosciuta l’insussistenza 
                                  di una linea di divisione fra uomo e animale. 
                                  Speranza frustrata il 24 aprile dal giudice 
                                  Barbara Bart, che pur non pronunciandosi nettamente 
                                  sulla paraumanità di Hiasl, ha negato 
                                  l’affidamento.
 Maggio 
                                  2007. Pietro Folena, deputato di Rifondazione 
                                  Comunista e presidente della commissione cultura 
                                  della Camera, ha organizzato un incontro a cui 
                                  hanno partecipato Tom Regan, nume di riferimento 
                                  insieme a Singer del movimento per la liberazione 
                                  animale, il giurista Stefano Rodotà, 
                                  il sottosegretario all’Economia e dirigente 
                                  dei Verdi Paolo Cento e il deputato dei Comunisti 
                                  Italiani e storico Nicola Tranfaglia. Tema della 
                                  tavola rotonda, la necessità di un nuovo 
                                  patto sociale in cui la difesa dei diritti umani 
                                  si accompagni a quella dei diritti animali. 
                                  E senza troppi sconti, sembrerebbe: dopo due 
                                  ore di dibattito, Enrico Moriconi, consigliere 
                                  dei Verdi per la regione Piemonte, sottolineava 
                                  il lungo cammino che resta ancora da percorrere, 
                                  perché se per molti può essere 
                                  «facile interessarsi ai diritti degli 
                                  animali di affezione», in Usa c’è 
                                  chi si è già mosso contro le violenze 
                                  «sulle aragoste gettate vive su una piastra 
                                  elettrica o immerse nell’acqua bollente», 
                                  costringendo ristoranti e catene commerciali 
                                  a una significativa retromarcia (Notizie entrambe 
                                  riprese da A. Galli, Animali. Diritti riconosciuti 
                                  come per gli uomini? “Avvenire” 
                                  29 luglio 2007).  |   
                            |  
                                L’ipotesi 
                                  che anche gli animali abbiano diritti è 
                                  molto discussa in bioetica, anche se si condivide 
                                  l’idea che gli esseri umani abbiano comunque 
                                  dei doveri nei confronti degli animali, primo 
                                  tra tutti quello di non infliggere loro sofferenze 
                                  ingiustificate. Non tutti sanno, per esempio, 
                                  dell’esistenza di una “Dichiarazione 
                                  universale dei diritti dell’animale” 
                                  dell’Unesco, che risale al 1978 e in cui 
                                  si stabilisce che «i diritti dell’animale 
                                  devono essere difesi dalla legge come i diritti 
                                  dell’uomo» e, fra le altre cose, 
                                  «che l’educazione deve insegnare 
                                  sin dall’infanzia a osservare, comprendere, 
                                  rispettare e amare gli animali». Tuttavia, 
                                  da ciò non si evince che i diritti degli 
                                  animali siano come quelli dell’uomo. Le 
                                  parole della Dichiarazione, piuttosto, esprimono 
                                  l’idea che anche i diritti degli animali 
                                  – nella loro peculiare specificità, 
                                  diversa da quella dei diritti umani – 
                                  devono trovare, come questi ultimi, una tutela 
                                  giuridica. Del resto, quando si vogliono equiparare 
                                  a tutti i costi i diritti umani a quelli animali 
                                  in realtà si arriva quasi sempre a un 
                                  rovesciamento che finisce per privilegiare gli 
                                  animali a spese dell’uomo. Significativi, 
                                  da questo punto di vista, alcuni passaggi del 
                                  programma di governo stilato dall’Unione, 
                                  dal titolo “Per il bene dell’Italia”. 
                                  Pur non spendendo una parola sul sacrificio 
                                  di embrioni umani a scopi scientifici, il programma 
                                  dell’Unione sottolinea che occorre «promuovere 
                                  e favorire la ricerca effettuata con metodi 
                                  alternativi all’utilizzo di animali e 
                                  progressivamente abolire la ricerca e la sperimentazione 
                                  che ne facciano uso» (p. 153). |  |  |   
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                                Italia: ancora sulle “maldestre” 
                                applicazioni della legge 194/1978 |   
                            |  
                                Giugno 
                                  2007. All’ospedale San Paolo di Milano 
                                  una donna di 38 anni si è sottoposta 
                                  all’aborto volontario per interrompere 
                                  la gravidanza di uno dei due gemelli che portava 
                                  in grembo, affetto da sindrome di Down. Al termine 
                                  dell'intervento però si è scoperto 
                                  che era stato soppresso il feto sano e non quello 
                                  malato. Una notizia alla quale la donna ha reagito 
                                  scegliendo per un secondo aborto. L’errore 
                                  sarebbe avvenuto perché nel periodo tra 
                                  l’amniocentesi e l’interruzione 
                                  di gravidanza i due gemelli si sono scambiati 
                                  di posto. Questa l’autodifesa di Anna 
                                  Maria Marconi, la ginecologa che ha praticato 
                                  l'aborto selettivo. Secondo l'ultimo "Rapporto 
                                  Pit salute 2006" risultano in aumento i 
                                  sospetti errori per errata diagnosi prenatale 
                                  (12%, +9% delle segnalazioni rispetto al 2005). |   
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                                Riportiamo 
                                  il commento di Eugenia Roccella: «Se Tommaso 
                                  morto all’ospedale Careggi di Firenze 
                                  nel marzo 2007 dopo un aborto fallito non fosse 
                                  sopravvissuto, non se ne sarebbe parlato affatto; 
                                  e altrettanto sarebbe accaduto se la bimba eliminata 
                                  al San Paolo fosse stata effettivamente la piccola 
                                  Down. Ogni volta che un episodio del genere 
                                  viene alla luce, si riapre la polemica tra chi 
                                  è a favore di una legge sull'aborto e 
                                  chi no, e il dibattito etico si arroventa. Dopo 
                                  alcuni giorni, però, tutto torna come 
                                  prima, e una pesante coltre di silenzio e indifferenza 
                                  copre la terribile marcia che stiamo compiendo 
                                  verso la selezione genetica, travestita da libera 
                                  scelta dei genitori. In questo modo stiamo approdando 
                                  a risultati di pulizia etnica che nemmeno la 
                                  peggiore violenza razzista dei governi totalitari 
                                  è mai riuscita ad ottenere. Si scrivono 
                                  articoli politicamente corretti sull'accoglienza 
                                  nei confronti dei Down, si girano film emozionanti 
                                  con protagonisti diversamente abili, ma poi 
                                  si chiudono gli occhi di fronte alla realtà 
                                  di una pratica di selezione genetica diventata 
                                  ormai ordinaria routine (E. Roccella, Serve 
                                  un tagliando alla 194, “Avvenire” 
                                  29 agosto 2007).  |  |  |   
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                                Italia: Giovanni 
                                Nuvoli e Piergiorgio Welby |   
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                                Luglio 
                                  2007. Concessi i funerali religiosi a Giovanni 
                                  Nuvoli, 53 anni da sette ammalato di sclerosi 
                                  multipla amiotrofica, attaccato ad un respiratore 
                                  artificiale, lasciatosi morire rifiutando per 
                                  giorni acqua e cibo. Prosegue dopo la sua morte 
                                  nell’opinione pubblica il dibattito acceso 
                                  che ha accompagnato gli ultimi mesi di vita 
                                  di Nuvoli: qualcuno ha obiettato sulla decisione 
                                  della Chiesa di permettere le esequie religiose 
                                  che invece erano state negate nel dicembre scorso 
                                  ad un altro ammalato di uguale forma di sclerosi, 
                                  Piergiorgio Welby, deceduto dopo l’interruzione 
                                  da lui richiesta della ventilazione meccanica. |   
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                                Su 
                                  questo aspetto particolare della vicenda, Roberta 
                                  Gisotti ha raccolto il parere dell’arcivescovo 
                                  Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia 
                                  della vita: «Sì, la concessione dei funerali 
                                  religiosi a chi si lascia morire o nel caso 
                                  che abbiamo in considerazione o in altri casi 
                                  simili o di suicidio, viene regolata dall’autorità 
                                  pastorale del luogo in base ad alcuni criteri: 
                                  quando c’è un’esplicita opposizione 
                                  alla fede cattolica, un dichiarato rifiuto dei 
                                  Sacramenti, è chiaro che non si può 
                                  dare il funerale religioso anche per rispettare 
                                  la volontà del paziente stesso, per non 
                                  imporre una religiosità per forza, dall’esterno. 
                                  Quando questo non risulta e ci sono situazioni 
                                  drammatiche, la Chiesa solitamente interpreta 
                                  in maniera benigna e concede il funerale religioso.
 Io penso che in questo caso sia stato applicato 
                                  un criterio pastorale comprensivo, andando incontro 
                                  ad una situazione che è stata di lunga 
                                  sofferenza.
 Quindi, noi dobbiamo ritenere che non solo è 
                                  pienamente legittimo ma accompagnarlo con la 
                                  nostra preghiera, perché le sofferenze 
                                  affrontate da questo nostro fratello siano state 
                                  incontrate dalla misericordia e dalla ricchezza 
                                  di grazia del nostro Signore Gesù Cristo, 
                                  Redentore di tutta l’umanità» 
                                  (www.fattisentire.net).
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                                Portogallo: obiezione 
                                di coscienza e aborto in Portogallo |   
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                                Luglio 
                                  2007. Entra in vigore la legge sull’aborto, 
                                  grazie a cui qualsiasi donna portoghese – 
                                  entro la decima settimana di gestazione – 
                                  potrebbe presentarsi in un centro medico e chiedere 
                                  di mettere fine alla gravidanza senza altra 
                                  ragione della propria volontà. La pratica, 
                                  però, sarà molto più complessa. 
                                  Perché i medici obiettori - nel sistema 
                                  pubblico portoghese - sono migliaia. Il primo 
                                  passo della nuova legge fu il referendum dello 
                                  scorso febbraio, al quale partecipò meno 
                                  della metà degli elettori. "Vinse" 
                                  il sì (con il 59%), ma in realtà 
                                  la consulta terminò con il trionfo dell'astensione. 
                                  Il referendum non era vincolante. Nonostante 
                                  questo ambiguo risultato, il governo socialista 
                                  di José Socrates decise di andare avanti. 
                                  Il testo approvato dal Parlamento depenalizza 
                                  (e di fatto liberalizza) l'aborto entro le prime 
                                  dieci settimane. Finora, la norma del 1984 permetteva 
                                  l'interruzione volontaria di gravidanza solo 
                                  in tre casi: stupro, grave malformazione del 
                                  feto e rischio di morte per la madre. Al di 
                                  fuori di questi presupposti, erano previsti 
                                  fino a tre anni di carcere. |   
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                                A 
                                  questo punto, la frettolosa approvazione della 
                                  legge potrebbe scontrarsi con l'obiezione di 
                                  coscienza dei medici. Al sistema sanitario portoghese 
                                  – secondo la stampa locale – non 
                                  restano che due alternative. C'è chi 
                                  ipotizza il trasferimento di medici non obiettori 
                                  da un ospedale all'altro, a seconda delle esigenze. 
                                  Una soluzione quanto meno complicata. La seconda 
                                  possibilità è ricorrere alle cliniche 
                                  private, disposte a fare ciò che gli 
                                  ospedali pubblici rifiutano. Per ora sono solo 
                                  due gli istituti privati con tutti i permessi 
                                  per «lavorare» in Portogallo. Uno 
                                  dei due - come previsto da anni - è la 
                                  spagnola "Clinica dos Arcos" di Badajoz, 
                                  al confine fra i due Paesi iberici. Conosciuta 
                                  fra le portoghesi che andavano ad abortire nella 
                                  vicina Spagna, la clinica ora ha aperto una 
                                  filiale a Lisbona e ne prepara un'altra a Porto. 
                                  La sua direttrice, Yolanda Hernandez, ha detto 
                                  di essere in contatto con alcuni ospedali pubblici 
                                  nell'eventualità che questi non riuscissero 
                                  a rispondere alle richieste di aborti per l'obiezione 
                                  di coscienza dei medici o per le carenze di 
                                  strutture adeguate. Per non perdere tempo, la 
                                  "Clinica dos Arcos" ha già 
                                  fatto sapere anche i prezzi delle interruzioni 
                                  volontarie di gravidanza: da 375 a 475 euro 
                                  (M. Coricelli, Aborto in Portogallo: 
                                  dilagano gli obiettori, in “Avvenire” 
                                  13 luglio 2007). |  |  |   
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                                Messico: Amnesty 
                                International apre le porte al “diritto” 
                                di aborto |   
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                                Agosto 
                                  2007. Amnesty International, la più grande 
                                  associazione umanitaria del mondo (con 2,2 milioni 
                                  di aderenti), ha cambiato la propria politica 
                                  in tema di aborto includendo il sostegno alla 
                                  depenalizzazione dell’interruzione di 
                                  gravidanza e il «libero esercizio dei 
                                  diritti sessuali e riproduttivi» tra i 
                                  propri obiettivi «umanitari».La decisione è stata ratificata dal “28° 
                                  Incontro del Comitato Internazionale di Amnesty 
                                  International”, svoltosi a Cocoyoc, in 
                                  Messico. Le motivazioni sono quelle "classiche": 
                                  i casi di stupro - o di "gravidanza forzata" 
                                  (forced pregnancy) secondo l'espressione coniata 
                                  dalla stessa Amnesty - e il fatto che secondo 
                                  l'Organizzazione mondiale della sanità 
                                  ogni anno 68.000 donne abortiscano in situazioni 
                                  sanitarie carenti (Notizia ripresa da www.vanthuanobservatory.org)
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                                A 
                                  giugno scorso, in un’intervista al “National 
                                  Catholic Register”, il cardinale Renato 
                                  Martino, presidente del Pontificio Consiglio 
                                  Giustizia e Pace, ha criticato la nuova direttiva 
                                  di Amnesty, affermando che con essa «Amnesty 
                                  International ha tradito la sua missione» 
                                  perché porta avanti un doppio standard 
                                  morale: da una parte si batte per l’abolizione 
                                  della pena di morte, mentre ora «condona 
                                  l’uccisione di un bambino non nato». |  |  |   
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                                Gran Bretagna: 
                                via alla creazione di ibridi uomo-animale  |   
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                                Settembre 
                                  2007. La Gran Bretagna, a differenza del resto 
                                  del mondo, ha dunque detto sì alla creazione 
                                  delle chimere: lo ha annunciato la Human Fertilisation 
                                  and Embryology Authority (Hfea). Per permettere 
                                  la creazione di questi ibridi, il nucleo di 
                                  una cellula umana viene inserito nell'ovocita 
                                  animale svuotato quasi completamente del suo 
                                  patrimonio genetico. Un portavoce della Hfea 
                                  ha giustificato la scelta sostenendo che le 
                                  varie consultazioni pubbliche avrebbero dimostrato 
                                  che «i cittadini sono favorevoli all'idea 
                                  della creazione di ibridi se questi potranno 
                                  spianare la strada della cura di malattie come 
                                  l'Alzheimer». Gli embrioni, assicurano 
                                  i ricercatori, saranno distrutti dopo quattordici 
                                  giorni, «dunque non c'è di che 
                                  preoccuparsi». Alcuni ricercatori del 
                                  settore hanno imputato il fallimento della possibilità 
                                  di ricavare cellule staminali da embrioni umani 
                                  clonati alla mancanza di disponibilità 
                                  di un numero sufficiente di ovociti umani: è 
                                  difficile convincere le donne a "donarli" 
                                  alla ricerca scientifica, vista la pesantezza 
                                  degli interventi cui dovrebbero essere sottoposte. 
                                  Da qui l'idea di utilizzare ovociti animali, 
                                  sostituendone il nucleo con quello ricavato 
                                  da cellule umane somatiche adulte: in questo 
                                  modo i 46 cromosomi del Dna della nuova entità 
                                  sono umani, ma il patrimonio genetico nella 
                                  sua interezza non lo è. Nell'ovocita, 
                                  infatti, si trovano i mitocondri, corpuscoli 
                                  determinanti per la vita cellulare, che hanno 
                                  all'interno un proprio patrimonio genetico. 
                                  Animale, in questo caso. I geni in questa nuova entità sono quindi 
                                  per il 99.9% derivanti dall'uomo e per lo 0.1% 
                                  dall'animale.
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                                «Vedere 
                                  cosa succede». Secondo Augusto Pessina, 
                                  microbiologo all’Università di 
                                  Milano e presidente dell’Associazione 
                                  italiana di colture cellulari, è questo 
                                  l’unico motivo ipotizzabile per spiegare 
                                  esperimenti come quello che in Inghilterra presto 
                                  porterà alla creazione di embrioni ibridi 
                                  uomo-animale. Un modo di procedere che, sia 
                                  nel contenuto che nel metodo, di scientifico 
                                  sembra avere ben poco. Il problema della medicina 
                                  è di avere un modello che si avvicini 
                                  il più possibile a quello reale, tant’è 
                                  vero che una delle obiezioni mosse dagli animalisti 
                                  contro gli esperimenti sui topi è negarne 
                                  l’attendibilità scientifica, proprio 
                                  perché l’uomo è differente 
                                  dal topo. Nel caso degli ibridi, sostiene Pessina, 
                                  «mi chiedo come si possa pretendere di 
                                  studiare una patologia umana aggiungendo al 
                                  modello preso in considerazione qualcosa di 
                                  non umano. Dal punto di vista scientifico mi 
                                  sembra un controsenso. Ma ci sono ragioni anche 
                                  pratiche, perché, ad esempio, non si 
                                  sa quali interazioni si produrranno tra il Dna 
                                  umano e quello mitocondriale animale. Insomma, 
                                  biologicamente è un gran pasticcio, che 
                                  denota un modo di procedere irrazionale, motivato 
                                  solo dalla curiosità di vedere cosa succede».E anche ammettendo che l'esperimento riesca, 
                                  cosa saranno queste nuove entità? Le 
                                  eventuali linee cellulari che poi se ne ricaverebbero 
                                  difficilmente potrebbero utilizzarsi nell'uomo, 
                                  poiché la presenza di materiale di origine 
                                  animale potrebbe attivare virus animali endogeni, 
                                  e quindi patologie incontrollabili. Il dialogo 
                                  fra i due "sistemi" diversi, come 
                                  spiega anche Angelo Vescovi, potrebbe non funzionare 
                                  affatto, e soprattutto non funzionare nella 
                                  ricerca su malattie neurologiche come Alzheimer 
                                  e Parkinson, caratterizzate proprio dalla alterazione 
                                  delle attività energetiche delle cellule 
                                  dei pazienti. E dunque anche per Vescovi tutto 
                                  il rumore sollevato attorno alla decisione della 
                                  Hfea «non ha nulla a che fare con la scienza 
                                  e i malati, ma con ben altri interessi, anche 
                                  economici». Diceva di brevetti già 
                                  depositati in tutto il mondo, in fiduciosa attesa 
                                  di sviluppi della ricerca. È noto, poi, 
                                  che le società biotech sono quotate in 
                                  Borsa, e che risentono assai positivamente di 
                                  certi annunci mediatici - come accadde negli 
                                  Usa alla società di Robert Lanza, che 
                                  dopo un annuncio a effetto sulle staminali embrionali 
                                  vide i suoi titoli crescere in un giorno del 
                                  400 per cento.
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                                Svizzera: coma 
                                vigile e accanimento terapeutico: la vicenda di 
                                Antonio Trotta |   
                            |  
                                Antonio 
                                  Trotta, 38 anni, è in coma vigile dall'estate 
                                  del 2005, dal giorno in cui un camion lo investì 
                                  in Svizzera. Il 7 dicembre dell'anno scorso 
                                  il padre Gerardo, vista la rinuncia dei medici 
                                  a proseguire le cure del figlio, lo ha caricato 
                                  su un'ambulanza per portalo via da Lugano, di 
                                  nascosto, e per ricoverarlo oltre il confine, 
                                  a Brebbia (Varese), in una struttura riabilitativa, 
                                  la Fondazione Borghi. |   
                            |  
                                Il 
                                  13 ottobre del 2006 la Commisione di Etica dell’ospedale 
                                  elvetico pubblica una dichiarazione in cui «si 
                                  parla di "coma vigile dal maggio 2005", 
                                  di grave infezione polmonare, "temperatura 
                                  ascellare a 40,3°", "rantoli diffusi"... 
                                  poi si specifica che "nonostante il margine 
                                  di miglioramento estremamente ridotto vi è 
                                  una costante richiesta da parte dei familiari 
                                  affinché, in caso di complicanze, si 
                                  adoperino tutti i mezzi terapeutici possibili. 
                                  Ma la Commissione di Etica clinica si è 
                                  espressa contro trattamenti ritenuti futili 
                                  di medicina intensiva visto che non c'è 
                                  possibilità di guarigione o di una qualità 
                                  di vita accettabile. Ci asteniamo pertanto da 
                                  misure di rianimazione...". [...] Può 
                                  darsi, ammettiamo pure che così sia, 
                                  ma chi è sicuro di una cosa o dell'altra? 
                                  E perché si vuole impedire a questi due 
                                  caparbi genitori di fare ciò che chiedono 
                                  disperatamente da mesi, e cioè di non 
                                  rimandare in Svizzera - nel Paese dove il suicidio 
                                  assistito è legiferato e una Commissione 
                                  "etica" nega il diritto alla cura 
                                  - il loro ragazzo? Vogliono una cosa sola: portaselo 
                                  a casa loro, ad Albizzate, per assisterlo con 
                                  le proprie forze. Quale legge può impedire 
                                  la più umana delle pratiche? Una vita 
                                  sprecata, la sua? Nessuno può sentenziarlo. 
                                  E in ogni caso chi può arrogarsi il diritto 
                                  di vietare a due genitori di volerla accudire 
                                  e proteggere nella sua fragilità, come 
                                  avevano fatto 38 anni fa? [...] Impossibile 
                                  non ripensare allo scempio per cui Terri Schiavo 
                                  il 31 marzo del 2005 morì di fame e di 
                                  sete perché un terzo giudicante - in 
                                  quel caso un magistrato - aveva così 
                                  deciso. Anche lì due genitori che non 
                                  chiedevano che di portarsela a casa (L. 
                                  Bellaspiga, Terri Schiavo da noi. Ma non può 
                                  finire così, “Avvenire” 19 
                                  settembre 2007). |  |  |   
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                                Città del 
                                Vaticano: la Congregazione per la dottrina della 
                                fede a proposito di “alimentazione e idratazione 
                                artificiali” |   
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                                Settembre 
                                  2007. La Congregazione per la dottrina della 
                                  fede ha reso noto un documento con due risposte 
                                  ad altrettanti quesiti posti dalla Conferenza 
                                  episcopale statunitense circa l'alimentazione 
                                  e l'idratazione artificiali nei malati in stato 
                                  vegetativo. Riprendendo una posizione mai mutata 
                                  del Magistero, il prefetto della Congregazione 
                                  cardinale William Levada osserva che «la 
                                  somministrazione di cibo e acqua, anche per 
                                  vie artificiali, è in linea di principio 
                                  un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione 
                                  della vita. Essa è pertanto obbligatoria», 
                                  «nella misura in cui e fino a quando dimostra 
                                  di raggiungere la sua finalità propria». 
                                  In secondo luogo il documento nega che nutrimento 
                                  e idratazione forniti per vie artificiali possano 
                                  essere interrotti quando medici competenti giudichino 
                                  con certezza morale che il paziente non recupererà 
                                  mai la coscienza: «Un paziente in stato 
                                  vegetativo è una persona, con la sua 
                                  dignità umana fondamentale, alla quale 
                                  sono perciò dovute le cure ordinarie 
                                  e proporzionali che comprendono la somministrazione 
                                  di acqua e cibo, anche per vie artificiali». 
                                  Le risposte della Congregazione sono state approvate 
                                  da papa Benedetto XVI.  |   
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                                «La 
                                  domanda più incalzante diviene allora: 
                                  che cosa è bene fare in queste circostanze? 
                                  La sospensione della nutrizione orale o per 
                                  vie diverse, quali quella nasogastrica o gastrostomica, 
                                  non porrebbe fine a quell’inutile tormento 
                                  che è una vita in cui il paziente non 
                                  è più in grado di decidere nulla 
                                  e che, invece, decide del tempo, delle energie 
                                  e delle risorse di chi lo assiste a domicilio 
                                  o in strutture sanitarie? Le indicazioni della 
                                  Congregazione allargano l’orizzonte della 
                                  risposta secondo l’ampiezza di una ragione 
                                  che non è mero "calcolo" – 
                                  per dirla con Heidegger – di costi e benefici, 
                                  ma osa addentrarsi sui sentieri del bene» 
                                  (R. Colombo, Nutrire i pazienti. Le umanissime 
                                  ragioni, “Avvenire” 16 settembre 
                                  2007). La risposta della Congregazione ritiene 
                                  che la somministrazione di cibo e acqua sia 
                                  «in linea di principio» un mezzo 
                                  ordinario e proporzionato. Ciò non esclude 
                                  che possano verificarsi situazioni in cui proseguire 
                                  alimentazione e idratazione potrebbe non essere 
                                  opportuno, quando la morte è imminente 
                                  e inevitabile.  |  |  |   
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                                Italia: finanziamenti 
                                per la ricerca bloccati |   
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                                Settembre 
                                  2007. La notizia non è riservata, ma 
                                  la conoscono solo gli addetti ai lavori: il 
                                  bando per il finanziamento dei "Progetti 
                                  di Ricerca di Interesse Nazionale" (i cosiddetti 
                                  Prin) - «principale fonte per il finanziamento 
                                  della ricerca pubblica», secondo lo stesso 
                                  ministro Fabio Mussi - è in ritardo di 
                                  almeno sei mesi rispetto alle usuali scadenze. 
                                  Annunciato dal Ministero in primavera, poi emanato 
                                  il 18 luglio scorso, è stato bloccato 
                                  dalla Corte dei Conti e tuttora non si conoscono 
                                  con precisione disponibilità di fondi 
                                  e data di pubblicazione. Non era mai successo 
                                  prima, e chi fa ricerca in università 
                                  conosce bene i gravissimi problemi che un ritardo 
                                  simile comporta. Le proteste finora si sono 
                                  fermate nei corridoi degli atenei, ma oramai 
                                  è sotto gli occhi di tutti quello che 
                                  denuncia il neurobiologo Angelo Vescovi: nel 
                                  nostro Paese «il sistema ricerca è 
                                  al collasso» (Notizia ripresa da “Avvenire” 
                                  19 settembre 2007).  |   
                            |  
                                La 
                                  medicina che usa le cellule staminali adulte 
                                  sta facendo passi da gigante, e i risultati 
                                  raggiunti sono sotto gli occhi di tutti, nonostante 
                                  le enormi difficoltà della ricerca in 
                                  Italia. Se solo ci fossero fondi disponibili, 
                                  «domattina, sì proprio domattina, 
                                  sarebbe possibile iniziare la procedura per 
                                  la sperimentazione sulla Sclerosi laterale amiotrofica 
                                  e la Sclerosi multipla, da estendere successivamente 
                                  ad altre malattie devastanti del cervello», 
                                  denuncia Vescovi, che ha raggiunto ottimi risultati 
                                  con i modelli animali. Ma i filoni della ricerca 
                                  italiana che funziona sono davvero numerosi. 
                                  Si pensi alla scoperta di staminali adulte nel 
                                  rene umano - anche in questo caso i modelli 
                                  animali ne hanno rivelato la capacità 
                                  di riparare lesioni -, agli studi sulle cellule 
                                  epiteliali, che permettono di ricostruire cornea 
                                  e pelle, alla terapia genica tramite staminali 
                                  adulte con cui per la prima volta al mondo è 
                                  stata curata una grave patologia genetica della 
                                  pelle, l'epidermolisi bollosa... Ricerche con 
                                  risultati sorprendenti, già in via di 
                                  applicazione, o con realistiche aspettative 
                                  di ottenere successi concreti sull'uomo.Perché allora non finanziare generosamente 
                                  tutto questo, anziché inseguire una chimera? 
                                  (A. Morresi, L’ideologia uccide 
                                  la ricerca, “Avvenire” 19 settembre 
                                  2007).
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                                Italia: il ministro 
                                della sanità e le adozioni degli embrioni 
                                umani |   
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                                Settembre 
                                  2007. «Possiamo pensare a rendere adottabili 
                                  gli embrioni in esubero. E dicendolo spero di 
                                  non suscitare scandali a sinistra». È 
                                  la proposta del ministro della Salute Livia 
                                  Turco in una intervista. «Io riconosco 
                                  dignità umana all'embrione. Dunque ho 
                                  l'obbligo di trovare una risposta a chi mi chiede 
                                  conto del destino di questa vita potenziale. 
                                  Offrirla in adozione è un gesto, forse 
                                  puramente simbolico, che attesta una posizione 
                                  chiara». «Quella di regalare ad 
                                  altri un embrione che tu non puoi o non vuoi 
                                  utilizzare mi sembra una buona idea, al di là 
                                  della sua fattibilità reale: una donna 
                                  che regala all'altra la possibilità di 
                                  un figlio. È un gesto forte, e insieme 
                                  un modo per stabilire un principio etico: non 
                                  si possono manipolare, bisogna averne cura». |   
                            |  
                                Riportiamo 
                                  un commento di Marina Corradi: «Se anche 
                                  il ministro riconosce dignità umana all'embrione; 
                                  se afferma che è qualcosa non da manipolare, 
                                  ma di cui “prendersi cura”, perché, 
                                  più modestamente, non pensare a quelli 
                                  vivi e vitali, nel grembo di madri che vanno 
                                  a chiedere il certificato per abortire, e contrariamente 
                                  a quanto stabilisce la legge non trovano quasi 
                                  nessuno che «contribuisca a far superare 
                                  le cause che potrebbero indurre all'interruzione 
                                  di gravidanza»? (M. Corradi, 
                                  Da quelle parole del ministro il principio di 
                                  uno sguardo diverso, “Avvenire” 
                                  20 settembre 2007). |  |  |   
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                                Italia: il tribunale 
                                di Cagliari e la diagnosi genetica pre-impianto 
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                                Settembre 
                                  2007. Due anni fa una donna aveva chiesto di 
                                  poter eseguire la diagnosi preimpianto prima 
                                  di procedere con le tecniche di fecondazione 
                                  in vitro perché portatrice di talassemia, 
                                  malattia molto diffusa in Sardegna. I medici 
                                  avevano rifiutato come prescritto dalla legge 
                                  40/2004 e la donna aveva deciso di rivolgersi 
                                  al tribunale di Cagliari che ora, dopo due anni, 
                                  sottolinea come il diritto alla salute della 
                                  madre ed il diritto ad essere informata garantiti 
                                  dalla Costituzione prevalgono sul divieto di 
                                  diagnosi prescritto dalla legge.Dopo la decisione del giudice l’ospedale 
                                  e il medico incaricato controlleranno lo stato 
                                  dell’embrione, verificando se può 
                                  essere colpito da talassemia. Solo nel caso 
                                  in cui l’embrione sia sano il medico procederà 
                                  all’impianto e alla gravidanza.
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                                Secondo 
                                  l’Associazione Scienza & Vita «la 
                                  sentenza rappresenta un caso di eugenetica». 
                                  Quanto affermato dall’Associazione emerge 
                                  in tutta evidenza da una lettura attenta della 
                                  legge 40, da cui si evince «il principio 
                                  di destinazione alla nascita di ogni embrione 
                                  generato in provetta». La legge prevede 
                                  infatti l’obbligo di trasferire immediatamente 
                                  tutti gli embrioni generati e il divieto di 
                                  qualsiasi selezione-soppressione a scopo eugenetico. 
                                  «Nel caso di Cagliari – osserva 
                                  Scienza & Vita – la finalità 
                                  eugenetica appare evidente. Non si comprende 
                                  quindi come il tribunale possa motivare una 
                                  scelta contra legem». Infine l’Associazione afferma che «la 
                                  pretesa di superare il problema della legittimità 
                                  costituzionale della legge 40 non ha fondamento 
                                  alcuno. Anzi, tale pretesa è in sé 
                                  incostituzionale, tenendo conto dei precedenti 
                                  pronunciamenti della Consulta in materia di 
                                  tutela della vita del concepito».
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