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                              | Associazione Thomas 
                                  International |  |  |  |   
                |  |  
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                                  Italia: i nuovi "Manifesti 
                                  di bioetica" |   
                            |  
                                Settembre 
                                  2007. Il 21 settembre, su “Europa”, 
                                  è apparso un Manifesto, firmato 
                                  da alcuni filosofi cattolici e laici, dal titolo 
                                  “Una ragione pubblica per la bioetica”. 
                                  L’obiettivo del Manifesto, rivolto 
                                  principalmente anche se non esclusivamente al 
                                  nascente Partito Democratico, è quello 
                                  di mettere a punto «La definizione di 
                                  un metodo di discussione sui problemi inerenti 
                                  la vita e la scienza [...] nell’intento 
                                  di contribuire a superare contrapposizioni troppo 
                                  rigide e costituire la base per interventi legislativi 
                                  più ampiamente condivisi». Spesso, 
                                  infatti, «Si assiste nel nostro paese 
                                  alla costante rincorsa a “piantare una 
                                  bandiera” sulle principali questioni bioetiche 
                                  [...] senza che si esibiscano le ragioni pubblicamente 
                                  rilevanti che dovrebbero sostenere le scelte 
                                  che valgono per tutti i cittadini; si cerca 
                                  piuttosto di ottenere una “vittoria” 
                                  numerica sulle opinioni differenti». Così, 
                                  «Per uscire dalla situazione di stallo 
                                  che caratterizza il dibattito italiano, è 
                                  utile riferirsi a quanto scrive John Rawls nel 
                                  saggio intitolato Un riesame dell’idea 
                                  di ragione pubblica (1997). La ragione 
                                  pubblica è quella di cui dovremmo far 
                                  uso nel confronto e nel dibattito civile e politico, 
                                  quindi anche quando dobbiamo affrontare problematiche 
                                  di natura propriamente etica e bioetica. L’intento 
                                  pratico della ragione pubblica fa sì 
                                  che essa si basi sui criteri della ragionevolezza 
                                  (cioè della razionalità in condizioni 
                                  limitate) e della reciprocità tra cittadini 
                                  liberi ed eguali». Insomma, secondo il 
                                  Manifesto «Non si tratta di far 
                                  prevalere una certa concezione dell’assetto 
                                  sociale ottimale o della più perfetta 
                                  forma di vita, bensì di definire le basi 
                                  essenziali del rispetto di ciascuna persona 
                                  nei differenti ambiti». Ed è proprio 
                                  «il principio del rispetto» che 
                                  può costituire un primo elemento di consenso 
                                  pubblico, che in ambito bioetico «si può 
                                  tradurre in alcuni diritti fondamentali: il 
                                  diritto all’integrità, il diritto 
                                  alle cure e il diritto al rifiuto delle cure 
                                  [...] Questi diritti di carattere generale offrono 
                                  una base ragionevole per la discussione pubblica 
                                  su questioni bioetiche più determinate». 
                                  Hanno firmato il Manifesto: Enrico 
                                  Berti, Laura Boella, Antonio Da Re, Roberta 
                                  de Monticelli, Alessandro Ferrara, Sebastiano 
                                  Maffettone, Claudia Mancina, Roberto Mordacci, 
                                  Massimo Reichlin, Roberta Sala, Salvatore Veca, 
                                  Corrado Viafora, Carmelo Vigna. |   
                            |  
                                Come 
                                  era prevedibile, il Manifesto “Una ragione 
                                  pubblica per la bioetica” ha suscitato 
                                  un notevole dibattito. Dopo aver apprezzato 
                                  le buone intenzioni dei firmatari del Manifesto, 
                                  nel suo articolo Bioetica: bel 
                                  “Manifesto” ma con omissioni 
                                  (“Avvenire” 27 settembre 2007), 
                                  Francesco D’Agostino ha sottolineato la 
                                  necessità di tenere distinta la bioetica 
                                  dalla ragione pubblica, evitando di confondere 
                                  il piano della verità morale con quello 
                                  dell’opportunità politica. Si fa 
                                  notare, infatti, come l’uso della ragione 
                                  pubblica non sia capace di generare consenso, 
                                  in bioetica, se non a prezzo di un’astrazione, 
                                  quale è quella di un vago principio del 
                                  rispetto delle persone. Cosa significa infatti 
                                  “rispettare la persona” di fronte 
                                  all’aborto? O all’eutanasia? È 
                                  chiaro che su questi problemi c’è 
                                  un disaccordo che non è facilmente componibile. 
                                  Come risolvere allora i conflitti che sorgono 
                                  in bioetica? Secondo D’Agostino ciò 
                                  è possibile in due modi. «In primo 
                                  luogo accettando la volontà democratica 
                                  della maggioranza, con assoluta onestà, 
                                  ma nella consapevolezza che si tratta sempre 
                                  di un’accettazione provvisoria e ricorrendo 
                                  nei casi estremi all’obiezione di coscienza. 
                                  In secondo luogo riflettendo che le contrapposizioni 
                                  bioetiche possono apparire insolubili nell’immediato 
                                  o nel breve periodo, ma non è detto che 
                                  debbano restare tali per sempre: dibattiti, 
                                  testimonianze, riflessioni, nuove prese di coscienza 
                                  possono scioglierle o riformularle in modo del 
                                  tutto nuovo. Non sta a noi prevedere i problemi 
                                  bioetici del futuro; a noi compete solo combattere 
                                  oggi la battaglia bioetica che riteniamo giusta, 
                                  nel pieno rispetto di chi la pensa diversamente 
                                  da noi, accettando con semplicità di 
                                  restare eventualmente in minoranza, ma anche 
                                  e soprattutto rifiutandoci di negoziare su ciò 
                                  che ci appare non negoziabile. Citando Kant 
                                  (per evitare ogni accusa di dogmatismo religioso), 
                                  ricordo che su ciò che ha un prezzo si 
                                  può sempre trattare, mentre su ciò 
                                  che ha una dignità non si deve trattare 
                                  mai». |   
                            |  
                                Novembre 
                                  2007. Durante il Convegno nazionale "Manifesto 
                                  di bioetica laica", organizzato dalla Consulta 
                                  Torinese per la laicità delle Istituzioni, 
                                  tenutosi il 25 novembre, è stato presentato 
                                  il Nuovo Manifesto di Bioetica Laica, 
                                  sottoscritto da alcuni dei più qualificati 
                                  esponenti della bioetica laica italiana. Fin 
                                  dai primi paragrafi il testo prende posizione 
                                  sui limiti che l’etica può imporre 
                                  al progresso scientifico. Si legge: «è 
                                  ingiustificato porre alla ricerca scientifica 
                                  limiti pregiudiziali in nome di un generico 
                                  e difficilmente quantificabile principio di 
                                  precauzione» e più avanti: «alla 
                                  ricerca scientifica riconosciamo il valore intrinseco 
                                  che deriva dal suo contributo al miglioramento 
                                  delle condizioni della vita umana». Così, 
                                  per esempio, si ritiene che gli «ostacoli 
                                  frapposti alla contraccezione di emergenza (la 
                                  c.d. pillola del giorno dopo)» sono «dei 
                                  veri e propri attentati al diritto all’autodeterminazione 
                                  delle donne e un danno per il paese» e 
                                  più avanti si denuncia «una situazione 
                                  analoga circa il ritardo applicativo delle nuove 
                                  modalità di aborto terapeutico (pillola 
                                  Ru486)». A proposito della ricerca sugli 
                                  embrioni, leggiamo: «il divieto imposto 
                                  alla ricerca sulle cellule staminali embrionali 
                                  rischia di isolare il nostro paese dalla ricerca 
                                  scientifica internazionale e di rendere più 
                                  difficile o oneroso accedere alle risorse terapeutiche 
                                  che ne possono derivare (ad esempio attraverso 
                                  la cosiddetta ‘clonazione terapeutica’)». 
                                  Più avanti il Manifesto si occupa 
                                  anche della legge 40, denunciando in particolare 
                                  il divieto posto alla “diagnosi pre-impianto” 
                                  che invece potrebbe, secondo i sottoscrittori 
                                  del Manifesto, “salvaguardare la salute 
                                  del nascituro”. Il Nuovo Manifesto 
                                  di bioetica laica si conclude con le seguenti 
                                  parole: «La bioetica laica è parte 
                                  di un impegno per una società in cui, 
                                  oltre allo sviluppo dell’accesso alla 
                                  conoscenza (ed in particolare a quella scientifica) 
                                  inteso come uno dei nuovi diritti di cittadinanza, 
                                  cresca lo spettro dei modi di vita possibili 
                                  e diminuiscano le sofferenze dovute all’imposizione 
                                  di un certo atteggiamento di pensiero, piuttosto 
                                  che di un altro, soprattutto per una società 
                                  in cui nessuno possa imporre divieti ed obblighi 
                                  in nome di un’autorità priva del 
                                  consenso delle persone sulle quali pretende 
                                  di esercitarsi». Tra i promotori del Manifesto 
                                  troviamo Maurizio Mori, Patrizia Borsellino, 
                                  Gilberto Corbellini, Emilio D’Orazio, 
                                  Carlo Flamigni, Mariella Immacolato, Eugenio 
                                  Lecaldano, Claudia Mancina, Demetrio Neri, Mario 
                                  Riccio, Sergio Rostagno, Gianni Vattimo e Carlo 
                                  Augusto Viano. |   
                            |  
                                Riportiamo, 
                                  a seguire, il commento di Bruno Mastroianni, 
                                  Il nuovo Manifesto di bioetica laica 
                                  (http://www.documentazione.info/article.php?idsez=5&id=529): 
                                  «Sembra che in questo Manifesto manchi 
                                  prima di tutto - ancora prima delle perplessità 
                                  etiche che suscitano alcune sue posizioni - 
                                  quel salutare atteggiamento del “dubbio 
                                  metodico” che dovrebbe ispirare chi fa 
                                  professione di laicità ed è contrario 
                                  ad ogni forma di dogmatismo». E infatti, 
                                  per quanto riguarda la Ru486, «il manifesto 
                                  ignora le molteplici perplessità scientifiche 
                                  che gravitano attualmente attorno all’utilizzo 
                                  della ru486. A più riprese il “New 
                                  York Times”, giornale laico e liberal, 
                                  si è occupato di quelle allarmanti morti 
                                  a causa del farmaco (15 donne finora solo negli 
                                  USA) e dei vari disturbi provocati dallo stesso 
                                  su altrettante pazienti (cfr. http://topics.nytimes.com/top/news/health/diseasesconditionsandhealthtopics/mifeprex_ru486_drug/index.html?s=newest&). 
                                  D’altronde anche durante la sperimentazione 
                                  negli Stati Untiti si registrarono diversi casi 
                                  di emorragia dovuti alla ru486, con 4 donne 
                                  che dovettero ricorrere d’urgenza a trasfusioni 
                                  per salvarsi la pelle. Anche la figlia del presidente 
                                  del Comitato nazionale di bioetica francese 
                                  è stata vittima della horror-pill 
                                  come l’ha definita il “Times” 
                                  a metà ottobre scorso (cfr. http://www.timesonline.co.uk/tol/comment/columnists/india_knight/article2652747.ece).Insomma non teorie morali ma fatti e dati, che 
                                  certo dovrebbero essere approfonditi, ma che 
                                  almeno dovrebbero far reagire un illuminato 
                                  laico con un atteggiamento di grande prudenza. 
                                  Eppure nel manifesto questa prudenza sembra 
                                  non esserci». A proposito della ricerca 
                                  sulle cellule staminali embrionali, «anche 
                                  qui gli autori del manifesto mostrano di non 
                                  conoscere gli ultimi sviluppi scientifici: le 
                                  riviste Science e Cell hanno recentemente 
                                  pubblicato due studi, uno americano l’altro 
                                  giapponese, in cui finalmente gli scienziati 
                                  per vie diverse sono riusciti ad ottenere cellule 
                                  staminali senza usare embrioni (cfr. http://www.timesonline.co.uk/tol/life_and_style/health/article2908408.ece). 
                                  La scoperta scientifica è talmente promettente 
                                  che ha fatto fare marcia indietro a Ian Wilmut, 
                                  il padre della pecora clonata Dolly, grande 
                                  sostenitore della clonazione terapeutica e della 
                                  sperimentazione sugli embrioni. Al “Daily 
                                  Telegraph” il professore ha dichiarato 
                                  che sposterà la sua attività nella 
                                  nuova direzione di ricerca, più promettente 
                                  e priva di controversie etiche. Wilmut non è 
                                  certo l’ultimo arrivato eppure, in nome 
                                  della scienza, ha cambiato idea. D’altronde 
                                  è noto che da 10 anni le ricerche sulla 
                                  clonazione non hanno dato risultati in termini 
                                  di applicazioni terapeutiche, tanto che negli 
                                  Stati Uniti numerosi finanziatori stanno rivedendo 
                                  la loro politica di sostegno dei progetti (http://www.telegraph.co.uk/earth/main.jhtml?xml=/earth/2007/11/16/scidolly116.xml)».
 Per quanto riguarda le critiche mosse al divieto 
                                  di diagnosi pre-impianto, «anche in questo 
                                  caso basterebbe informarsi: lo scorso ottobre 
                                  a Washington i membri della American Society 
                                  for Reproductive Medicine, tra le più 
                                  autorevoli e rappresentative Oltreoceano, si 
                                  sono espressi nettamente contro la tecnica di 
                                  diagnosi pre-impianto dello screening che negli 
                                  ultimi otto anni ha dimostrato nei fatti la 
                                  sua inconsistenza (come riportato anche dalla 
                                  rivista Nature 445, 479-480, 1 February 2007, 
                                  http://www.nature.com/nature/journal/v445/n7127/full/445479a.html). 
                                  Gli scienziati, non i membri del movimento pro-life, 
                                  dichiarano che la tecnica non si dimostra sufficientemente 
                                  attendibile e anzi aumenta le possibilità 
                                  di danni al nascituro». Questi sono solo 
                                  alcuni esempi, presi dal Manifesto, 
                                  che mostrano secondo Mastroianni «come, 
                                  anche di fronte a fatti e dati, c’è 
                                  una certa coltre ideologica che non viene scalfita: 
                                  altro che “generico e difficilmente quantificabile 
                                  principio di precauzione”».
 Sull’idea, poi, che “organizzazioni 
                                  religiose” possano “imporre” 
                                  per legge divieti e obblighi a chi non li condivide 
                                  si rimane perplessi. In un sistema democratico, 
                                  infatti, nessuno può imporre nulla a 
                                  nessuno. Tutto passa attraverso il libero gioco 
                                  del voto, della preferenza e della dialettica 
                                  politica. Se dunque esiste una determinata legge, 
                                  questa legge non esiste in virtù di un’autorità 
                                  religiosa, ma in virtù dell’autorità 
                                  politica dello Stato, riconosciuta da tutti 
                                  i cittadini. E quando una legge dello Stato 
                                  esprime maggiore vicinanza a una delle parti 
                                  in causa, questo non avviene perché è 
                                  stata “imposta”, ma solo perché 
                                  è stata sostenuta dalla maggioranza (parlamentare 
                                  o popolare, come nei referendum). Descrivere 
                                  come un’”imposizione” le leggi 
                                  che non si condividono, come hanno fatto gli 
                                  estensori del Manifesto, è pertanto 
                                  un’azione anti-democratica e priva di 
                                  laicità. Così facendo, infatti, 
                                  si cerca di delegittimare il punto di vista 
                                  che ha avuto maggiori consensi, cercando al 
                                  tempo stesso di imporre il proprio punto di 
                                  vista senza doverlo confrontare democraticamente 
                                  con quello espresso dalla maggioranza.
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                                  Italia: pillola del giorno 
                                  dopo e obiezione di coscienza |   
                            |  
                                Ottobre 
                                  2007. Intervenendo al 25° Congresso Internazionale 
                                  dei Farmacisti Cattolici, Papa Benedetto XVI, 
                                  dopo aver chiesto ai farmacisti, nel loro ruolo 
                                  di «intermediari tra medici e pazienti», 
                                  di far conoscere «le implicazioni etiche 
                                  dell’uso di alcuni farmaci», ha 
                                  aggiunto che «In questo campo non è 
                                  possibile anestetizzare le coscienze, per esempio 
                                  circa gli effetti di molecole che hanno lo scopo 
                                  di evitare l’annidamento di un embrione 
                                  o di cancellare la vita di una persona». 
                                  Il riferimento, piuttosto evidente, è 
                                  alla cosiddetta «pillola del giorno dopo», 
                                  la «Norlevo». In effetti la Norlevo 
                                  non è soltanto un contraccettivo d’emergenza, 
                                  come viene spesso detto, ma anche un abortivo, 
                                  visto che nel foglietto illustrativo del farmaco 
                                  si legge che esso può agire anche “per 
                                  impedire l’impianto” dello zigote. 
                                  Per questo il Papa, rivolgendosi ai farmacisti, 
                                  ha detto che l’obiezione di coscienza 
                                  «è un diritto che deve essere riconosciuto 
                                  alla vostra professione, permettendovi di non 
                                  collaborare, direttamente o indirettamente, 
                                  alla fornitura di prodotti che hanno per obiettivo 
                                  scelte chiaramente immorali, come per esempio 
                                  l’aborto». |   
                            |  
                                L’Associazione 
                                  delle ditte farmaceutiche (Federfarma) 
                                  e il Ministro della Salute Livia Turco hanno 
                                  criticato il Pontefice, mentre l’Ordine 
                                  nazionale dei farmacisti, l’Unione 
                                  cattolica dei farmacisti italiani (UCFI) 
                                  e il Movimento per la Vita (MpV) hanno 
                                  ribadito il diritto all’obiezione di coscienza 
                                  nei confronti di farmaci che potrebbero procurare 
                                  l’aborto (come appunto la Norlevo). Sulla 
                                  questione si è pronunciata anche la Federazione 
                                  degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi) 
                                  dicendosi pienamente d’accordo con quanto 
                                  dichiarato dal Papa e auspicando una precisa 
                                  regolamentazione in merito. In un comunicato 
                                  pubblicato sulla pagina del proprio sito web, 
                                  la Fofi ha spiegato che la “normativa 
                                  attuale non prevede l’obiezione di coscienza 
                                  per i farmacisti, i quali, pertanto, non possono 
                                  rifiutarsi di dispensare i farmaci richiesti 
                                  dal cittadino, qualsiasi essi siano”. 
                                  Ma proprio per questo, aggiungono, “i 
                                  farmacisti italiani ribadiscono la loro adesione 
                                  all’appello del Pontefice, sollecitando 
                                  il Governo e il Parlamento a un intervento legislativo 
                                  che regolamenti la delicata questione in via 
                                  definitiva”. A questo proposito il dottor 
                                  Piero Uroda, Presidente dell’Unione cattolica 
                                  dei farmacisti italiani (UCFI), ha spiegato 
                                  che “la legge a cui si fa riferimento 
                                  è entrata in vigore nel 1938 quando non 
                                  venivano venduti farmaci abortivi e l’interruzione 
                                  volontaria di gravidanza era punita”. 
                                  Nel dibattito è intervenuto anche l’on. 
                                  Carlo Casini, Presidente del Movimento per 
                                  la Vita, il quale ha precisato che “i 
                                  farmacisti hanno il diritto a rifiutarsi di 
                                  commercializzare farmaci abortivi”. “Infatti 
                                  – ha continuato Casini – nessun 
                                  caso tra i molti in cui si è tentato 
                                  a colpi di magistratura di imporre a un farmacista 
                                  di vendere il Norlevo è mai neppure arrivato 
                                  in aula”. Il Presidente del MpV ha quindi 
                                  spiegato che “la questione riguarda unicamente 
                                  la Pillola del giorno dopo, visto che la Ru486 
                                  – ammesso che venga mai utilizzata in 
                                  Italia – avrà un uso esclusivamente 
                                  ospedaliero e quindi non chiama in causa le 
                                  comuni Farmacie”. Mentre, ha aggiunto, 
                                  che “il Norlevo possa provocare l’aborto 
                                  è dimostrato anche dalla sentenza del 
                                  Tar del Lazio che ha imposto ai produttori di 
                                  specificare tale possibilità nel foglio 
                                  illustrativo”. Secondo Casini non c’è 
                                  dubbio che “i farmacisti hanno la facoltà 
                                  di dichiarare la loro obiezione di coscienza 
                                  rifiutando la collaborazione ad un possibile 
                                  aborto. Lo esige una corretta interpretazione 
                                  della stessa legge 194 sull’interruzione 
                                  di gravidanza”. “Ma anche senza 
                                  appellarsi alla legge – ha continuato 
                                  –, appartiene al comune intendere la certezza 
                                  che costringere qualcuno ad uccidere un essere 
                                  umano – o anche qualcuno che ritiene ragionevolmente 
                                  di riconoscere un essere umano in un embrione 
                                  – è davvero contrario ad ogni senso 
                                  di umanità”. In merito alle opposizioni, 
                                  il Presidente del MpV ha affermato che “sbaglia 
                                  il Ministro Turco quando contro i farmacisti 
                                  invoca la legge dello Stato perché anche 
                                  l’obiezione è legge, e quindi la 
                                  norma generale che impone di mettere in vendita 
                                  i farmaci trova un limite nell’eccezione, 
                                  anch’essa legislativamente prevista, dell’obiezione”. 
                                  “Tutto è già scritto e codificato 
                                  – ha concluso Casini – ma forse 
                                  una legge potrebbe essere opportuna. Non però 
                                  per aggiungere qualcosa nell’ordinamento 
                                  giuridico, ma solo per garantire un’interpretazione 
                                  autentica alla legge esistente che impedisca 
                                  erronee interpretazioni come quella della Federfarma 
                                  e del ministro Turco”. (Commento 
                                  ripreso da http://www.zenit.org/article-12384?l=italian) |  |  |   
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                                Italia: la sentenza sul caso 
                                Englaro |   
                            |  
                                Ottobre 
                                  2007. La Corte di Cassazione ha disposto un 
                                  nuovo processo per il caso di Eluana Englaro, 
                                  la ragazza in coma da 15 anni e per la quale 
                                  il padre chiede la sospensione dell'alimentazione 
                                  artificiale. Ribaltando la richiesta del sostituto 
                                  procuratore generale della Cassazione Giacomo 
                                  Caliendo che aveva chiesto il rigetto del ricorso 
                                  presentato dal padre della ragazza. La Corte 
                                  ha deciso che il giudice può, su istanza 
                                  del tutore, autorizzare l'interruzione soltanto 
                                  in presenza di due circostanze concorrenti: 
                                  che sia provata come irreversibile la condizione 
                                  di stato vegetativo e che sia accertato che 
                                  il convincimento etico di Eluana avrebbe portato 
                                  a tale decisione se lei fosse stata in grado 
                                  di scegliere di non continuare il trattamento. 
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                                Riportiamo 
                                  il parere di Alberto Gambino, Ordinario di Diritto 
                                  civile all’Università di Napoli 
                                  “Parthenope” e docente di Diritto 
                                  privato all’Università Europea 
                                  di Roma. Secondo Gambino la sentenza «è 
                                  erronea in punto di fatto 
                                  per due motivi. Primo perché è 
                                  pacifica tra gli anestesisti l’impossibilità 
                                  di accertare quando uno stato vegetativo è 
                                  irreversibile. Dunque il presupposto su cui 
                                  si muove la sentenza viene meno: non è 
                                  affatto provato che il paziente non possa tornare 
                                  in uno stato di coscienza ed esprimere la sua 
                                  volontà. Il secondo motivo è che 
                                  il rifiuto di alimentazione ed idratazione non 
                                  è rifiuto di terapie. Dare da bere e 
                                  da mangiare ad un paziente, per quanto artificialmente, 
                                  non è una cura ad una patologia, ma l’assolvimento 
                                  di un bisogno essenziale dell’individuo. 
                                  Se si pensa di troncare un’esistenza non 
                                  soddisfacendo le esigenze primarie di una persona, 
                                  credo che si sia davanti ad un caso di vera 
                                  e propria eutanasia.Laddove fossero superabili le obiezioni che 
                                  ho appena sollevato – ma davvero non vedo 
                                  come – resta difficile spiegare come sia 
                                  possibile richiamarsi alla libertà del 
                                  rifiuto della cura dinanzi a una volontà 
                                  inespressa. Risalire a “comportamenti”, 
                                  “stili di vita”, “dichiarazioni 
                                  pregresse” per stabilire ciò che 
                                  si deve decidere ora e in questa situazione, 
                                  significa davvero non tenere conto della reale 
                                  volontà del paziente, che, per essere 
                                  libera, deve essere attuale, circostanziata 
                                  e contestualizzata. E’ pericolosissimo 
                                  retrodatarla perché si finisce per farsi 
                                  interpreti, arbitrari, di una presunta volontà 
                                  altrui, secondo i propri desideri, per quanto 
                                  essi siano motivati e sofferti. [...] Nella 
                                  dinamica del cosiddetto testamento biologico 
                                  si annida [pertanto] un vero e proprio paradosso 
                                  giuridico che usa la logica alla rovescia: si 
                                  vuole tutelare la libertà dell’individuo 
                                  di rifiutare le cure e poi quella libertà 
                                  viene esercitata da vari soggetti tranne che 
                                  dal suo effettivo titolare. Ho l’impressione 
                                  che siamo davanti ad un’analisi fondata 
                                  più sullo schema costi-benefici che non 
                                  sulla reale salvaguardia della libertà 
                                  di cura del paziente. Il malato in stato vegetativo 
                                  così finisce per essere considerato un 
                                  “peso” sociale, che, per quanto 
                                  umanamente pesante, non potrà mai ridurre 
                                  il valore della persona-soggetto di diritto 
                                  ad un bene disponibile come se fosse una cosa» 
                                  (Notizia ripresa da www.repubblica.it 
                                  e commento da ZENIT.org).
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                                Giappone e USA: 
                                nuove scoperte sulle cellule staminali adulte |   
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                                Novembre 
                                  2007. È arrivata la notizia che molti 
                                  aspettavano: è possibile ottenere cellule 
                                  staminali senza dover ricorrere all’utilizzo 
                                  di embrioni. È questo il risultato di 
                                  due diverse ricerche, una americana del prof. 
                                  Thomson, dell’Università del Wisconsin-Madison 
                                  e l’altra giapponese del prof. Yamanaka, 
                                  dell’università di Tokyo, pubblicate 
                                  sulle riviste scientifiche “Science” 
                                  e “Cell”. I due ricercatori sono 
                                  arrivati per due vie diverse allo stesso scopo: 
                                  hanno ottenuto staminali modificando il patrimonio 
                                  genetico di cellule della pelle, introducendo 
                                  nel DNA quattro geni che sono attivi solo durante 
                                  lo sviluppo embrionale. Risultato: le cellule 
                                  sono regredite fino a tornare allo stato di 
                                  cellule staminali, potenzialmente pluripotenti. 
                                  Queste cellule un giorno potrebbero essere riprogrammate 
                                  per formare vari tipi di tessuto e, provenendo 
                                  dallo stesso paziente, eviterebbero gli attuali 
                                  problemi di rigetto del sistema immunitario. |   
                            |  
                                La 
                                  notizia è epocale. Infatti è stata 
                                  riportata dal Times in prima pagina come “brakethrough”. 
                                  D’altronde era stata anticipata già 
                                  qualche giorno prima, quando il The 
                                  Daily Telegraph aveva riportato 
                                  la notizia che Ian Wilmut, il papà della 
                                  pecora clonata Dolly, avrebbe deciso di abbandonare 
                                  la sperimentazione sugli embrioni per seguire 
                                  la nuova tecnica del prof. Yamanaka, più 
                                  efficace nell’ottenere cellule staminali 
                                  e meno problematica dal punto di vista etico. 
                                  La notizia è uno scossone in particolare 
                                  per la ricerca sulla clonazione terapeutica. 
                                  Ma è uno scossone anche per i milioni 
                                  di dollari che, sopratutto negli Stati Uniti, 
                                  sono investiti per la ricerca in questo settore. 
                                  L’elargizione di questi fondi aveva già 
                                  incominciato a scricchiolare di fronte alla 
                                  scarsità di risultati - non uno scientificamente 
                                  attendibile sulle concrete applicazioni terapeutiche 
                                  in 10 anni. Insomma è iniziato un periodo di declino 
                                  per la clonazione terapeutica e la sperimentazione 
                                  sugli embrioni? Pare di sì. Ma sembra 
                                  anche che, qui in Italia, in pochi se ne siano 
                                  resi conto. Lo fa notare Marina Corradi in un 
                                  articolo dell’Avvenire del 22 novembre. 
                                  La Corradi sottolinea che, mentre il Times ha 
                                  dato alla notizia l’apertura in prima 
                                  pagina, nel nostro Paese Repubblica l’ha 
                                  destinato a pagina 23 (con un piccolo richiamo 
                                  in prima) dopo tre pagine fitte di cronaca sul 
                                  caso di Perugia, il Corriere non ne ha parlato 
                                  visto che aveva già parlato di staminali 
                                  la domenica prima, la Stampa lo ha inserito 
                                  tra le solite comete e migrazioni di pinguini 
                                  dell’inserto scienze e infine l’Unità 
                                  lo ha collocato a pagina 8 “a piede” 
                                  come si dice in gergo giornalistico. Analizza 
                                  la Corradi: “gli stessi giornali che prima 
                                  del referendum del 2005 ripetevano ossessivamente, 
                                  e ignorando del tutto le obiezioni di autorevoli 
                                  ricercatori, che per sconfiggere le malattie 
                                  neurodegenerative occorreva usare gli embrioni, 
                                  sulla svolta di oggi fanno understatement. Gli 
                                  editorialisti che avvertivano severi che perdere 
                                  la corsa dei brevetti sulle staminali embrionali 
                                  avrebbe affossato la ricerca scientifica in 
                                  Italia, ora non scrivono. Come mai è 
                                  più franco nel dichiarare il cambio di 
                                  rotta uno scienziato come Wilmut? Proprio perché 
                                  è uno scienziato, e, preso atto di una 
                                  strada più promettente e facilmente praticabile, 
                                  nel confronto con la realtà cambia idea. 
                                  Chi è ideologico, invece, non guarda 
                                  alla realtà: ha un suo schema cui deve 
                                  restar fedele, anche se ciò che accade 
                                  lo contraddice” (Notizia e commento 
                                  ripresi da http://www.documentazione.info/article.php?idsez=5&id=522).
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                                Esperti Usa di 
                                riproduzione assistita bocciano la tecnica invocata 
                                in Italia |   
                            |  
                                Novembre 
                                  2007. Per gli antagonisti della legge 40 è 
                                  il preferito tra i cavalli di battaglia, soprattutto 
                                  dopo la discussa sentenza emessa dal Tribunale 
                                  di Cagliari alla fine di settembre sul caso 
                                  della donna affetta da beta-talassemia: parliamo 
                                  della diagnosi preimpianto, la tecnica di analisi 
                                  e selezione degli embrioni che – nei proclami 
                                  di chi la sostiene – dovrebbe permettere 
                                  alle donne che accedono alla fecondazione assistita 
                                  di moltiplicare le possibilità di successo 
                                  della futura gravidanza, individuando e impiantando 
                                  gli "esemplari" potenzialmente più 
                                  sani. Al meeting annuale delle società 
                                  per la riproduzione assistita statunitensi, 
                                  riunite a Washington a metà ottobre, 
                                  i medici della Asrm (l’American Society 
                                  for Reproductive Medicine, tra le più 
                                  autorevoli e rappresentative Oltreoceano) si 
                                  sono espressi nettamente contro la tecnica di 
                                  diagnosi preimpianto dello screening, che consiste 
                                  nello studio dell’assetto cromosomico 
                                  degli embrioni per il trattamento delle pazienti 
                                  che accedono alle tecniche di procreazione assistita 
                                  in età avanzata o dopo aborti e fallimenti 
                                  d’impianto reiterati. In pratica si prende 
                                  un embrione, si estrae una delle sue cellule 
                                  e si analizza cercandone delle anomalie cromosomiche, 
                                  al fine di stabilirne la " normalità" 
                                  o l’"anormalità" e la 
                                  conseguente possibilità di dare con esso 
                                  origine a una gravidanza a termine, rara con 
                                  queste pazienti. Negli ultimi otto anni – 
                                  secondo quanto emerso durante il convegno e 
                                  ampiamente riportato in uno dei più recenti 
                                  numeri di “Nature” – la tecnica 
                                  ha però dimostrato la sua inconsistenza, 
                                  spesso contribuendo addirittura a diminuire 
                                  le possibili gravidanze. |   
                            |  
                                A 
                                  spiegarci i motivi di questo sorprendente fallimento 
                                  è il medico newyorchese Glenn Schattmann, 
                                  noto specialista nel campo dell’infertilità 
                                  e docente di Endocrinologia riproduttiva al 
                                  Weill Medical College della Cornell University. 
                                  Schattmann, si badi bene, come la quasi totalità 
                                  dei medici e ginecologi statunitensi non soltanto 
                                  è un convinto sostenitore della pratica 
                                  ma esegue diagnosi preimpianto sulle donne che 
                                  ogni anno ricorrono alla fecondazione assistita 
                                  per avere figli nel suo studio. Proprio per 
                                  questo la sua testimonianza è ancor più 
                                  sbalorditiva: «Da tempo ormai – 
                                  ci spiega – vado sostenendo, appoggiato 
                                  dall’Asrm, che non c’è alcuna 
                                  prova evidente che lo screening preimpianto 
                                  aumenti le possibilità di successo nelle 
                                  gravidanze a seguito di fecondazione in vitro. 
                                  Ecco perché sarebbe un errore gravissimo 
                                  quello di continuare, come medici, a illudere 
                                  le nostre pazienti e, quel che è peggio, 
                                  far correre loro rischi inutili». Rischi per le pazienti, menzogne dei medici: 
                                  eppure le varie tecniche della diagnosi preimpianto, 
                                  anche nel nostro Paese, continuano a essere 
                                  proposte come metodo sicuro per aumentare i 
                                  successi nelle gravidanze da procreazione assistita...
 «È dimostrato da diversi studi 
                                  compiuti negli Usa – continua Schattmann 
                                  – che lo screening su una sola cellula 
                                  di un embrione non può essere il fattore 
                                  in base al quale decidere se quello sarà 
                                  "normale" o "anormale". 
                                  Il risultato del test in pratica, non prova 
                                  nulla circa il futuro di quell’embrione: 
                                  il che è confermato dagli errori diagnostici 
                                  della pratica, che sono da considerarsi intorno 
                                  al 10% sia per quanto riguarda i falsi positivi 
                                  (anormali secondo il test, sani in realtà) 
                                  sia per i falsi negativi (sani secondo il test, 
                                  anormali nei fatti). Tutto questo senza contare 
                                  i danni che il prelievo stesso di materiale 
                                  cellulare può causare e spesso causa 
                                  all’embrione e alla madre: l’impiego 
                                  della tecnica ha dimostrato più volte 
                                  di incidere sulle riuscita della gravidanza». 
                                  Dati allarmanti, lontani anni luce dalla favola 
                                  dei figli sani a colpo sicuro e della tutela 
                                  della salute della donna di cui si parla nel 
                                  nostro Paese (Notizia e commento ripresi 
                                  da Viviana Daloiso, “Avvenire È 
                                  vita” online, 14 novembre 2007)
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                                Italia: sì 
                                alla diagnosi genetica pre-impianto, contro le 
                                Linee guida della legge 40/2004 |   
                            |  
                                Dicembre 
                                  2007. Dopo la sentenza dello scorso settembre 
                                  del tribunale di Cagliari, che aveva autorizzato 
                                  la diagnosi genetica pre-impianto per una coppia 
                                  di talassemici che avevano fatto ricorso alla 
                                  fecondazione artificiale, ora un’ordinanza 
                                  del Tribunale di Firenze ha stabilito, per un’altra 
                                  coppia, il diritto di «produrre più 
                                  embrioni così da evitare di reiterare 
                                  i protocolli di stimolazione ovarica gravosi 
                                  e invasivi sulla integrità psico-fisica; 
                                  di avere trasferito unicamente gli embrioni 
                                  non affetti ovvero portatori sani della specifica 
                                  patologia alla luce di quanto risultante dall'esecuzione 
                                  della diagnosi genetica pre-impianto (PDG) al 
                                  fine di conseguire una gravidanza che sia cosciente 
                                  e responsabile e tutelando in tal modo il diritto 
                                  alla salute della madre e del nascituro, nonchè 
                                  il diritto ad autodeterminarsi in maniera consapevole» 
                                  (Notizia ripresa da http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/index.php?num=2527&search=). |   
                            |  
                                Riportiamo 
                                  il commento di E. Roccella, Chi 
                                  vuol dividere le persone tra giuste e sbagliate 
                                  Avvenire 26 dicembre 2007: «La 
                                  legge 40 sulla procreazione assistita afferma 
                                  esplicitamente che è vietata «ogni 
                                  forma di selezione a scopo eugenetico degli 
                                  embrioni e dei gameti», ma il giudice 
                                  ha disinvoltamente stabilito altrimenti. Non 
                                  entrerò nelle delicate questioni di diritto 
                                  e di competenze che l’ordinanza pone, 
                                  come l’equilibrio tra i poteri in democrazia, 
                                  o la nuova tendenza alla 'giurisprudenza creativa', 
                                  che sta emergendo. Certo, sarebbe meglio che 
                                  le leggi le facessero i parlamentari, i quali 
                                  ne rispondono agli elettori; i giudici invece, 
                                  che non sono eletti da nessuno, le norme dovrebbero 
                                  limitarsi ad applicarle. Il cuore del problema, 
                                  però, è un altro. Dobbiamo stabilire 
                                  se accettiamo o no che la vita dei disabili, 
                                  dei malati, di chi è portatore di un 
                                  qualunque 'difetto' genetico abbia lo stesso, 
                                  identico valore di quella dei cosiddetti sani. 
                                  [...] Non diteci più, per favore, che 
                                  la selezione si limiterà ai casi gravi, 
                                  perché nei Paesi dove è ammessa 
                                  si allarga in modo irrefrenabile, e non saperlo 
                                  vuol dire essere in malafede o non leggere le 
                                  notizie dall’estero. In Inghilterra già 
                                  si eliminano gli embrioni che abbiano una buona 
                                  probabilità di sviluppare malattie da 
                                  adulti, come il cancro al seno o al colon; dal 
                                  Times del 15 dicembre abbiamo appreso l’ultima 
                                  novità, il diritto di rifiutare gli embrioni 
                                  che possano soffrire di un livello di colesterolo 
                                  alto. Si tratta ormai, esplicitamente, di volere 
                                  bambini che il mondo anglosassone definisce 
                                  «designer babies», cioè figli 
                                  progettati su misura, con caratteristiche decise 
                                  dai genitori. Non conta la gravità della 
                                  malattia genetica, ma il desiderio (c’è 
                                  chi la chiama «autodeterminazione») 
                                  degli adulti, e non importa che le patologie 
                                  individuate siano lievi e perfettamente curabili. 
                                  I sostenitori della modifica alla legge 40, 
                                  invece di definire crudele il divieto di diagnosi 
                                  preimpianto, provino a misurare il proprio livello 
                                  di colesterolo, e a dirsi che, se è al 
                                  di sopra della norma, questo in alcuni Paesi 
                                  sarebbe stato motivo sufficiente per essere 
                                  scartati in fase embrionale». |  |  |   
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                                Italia. Norma “anti-omofobia”? |   
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                                Dicembre 
                                  2007. La cosiddetta “norma anti-omofobia” 
                                  inserita nel testo del decreto legge approvato 
                                  al Senato sulla sicurezza in materia di norme 
                                  anti-razzismo, ha accesso forti polemiche. La 
                                  norma si ispira al Trattato di Amsterdam, un 
                                  accordo internazionale sottoscritto dall'Italia 
                                  e dagli altri paesi europei nel 1997, che prevede 
                                  l'adozione di misure atte a combattere le discriminazioni 
                                  fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, 
                                  la religione o le convinzioni personali, gli 
                                  handicap, l'età o le tendenze sessuali. 
                                  In realtà, già l’art. 3, 
                                  primo comma della Costituzione Italiana recita: 
                                  «Tutti i cittadini hanno pari dignità 
                                  sociale e sono eguali davanti alla legge, senza 
                                  distinzione di sesso, di razza, di lingua, di 
                                  religione, di opinioni politiche, di condizioni 
                                  personali e sociali».  |   
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                                «La 
                                  norma anti-omofobia contenuta nel decreto legge 
                                  si riferisce, però, alla discriminazione 
                                  fondata sulle «tendenze sessuali», 
                                  quasi che queste avessero una 'qualità' 
                                  paragonabile alla razza o all’origine 
                                  etnica. Nonostante le infuocate rassicurazioni 
                                  del senatore Latorre, si tratta di un nuovo 
                                  reato per il quale – a discrezione di 
                                  qualche giudice – potrebbe essere condannato 
                                  addirittura fino a tre anni chi si esprimesse 
                                  contro l’adozione di un bimbo da parte 
                                  di persone dello stesso sesso» (da 
                                  “Avvenire” 7 dicembre 2007). 
                                  È naturalmente doveroso condannare ogni 
                                  discriminazione sessuale delle persone. Ma questo 
                                  non significa che si sia obbligati ad accettare 
                                  e a promuovere per legge tutte le azioni che 
                                  certe persone vorrebbero compiere sulla base 
                                  della loro tendenza sessuale. La condizione 
                                  sessuale di una persona, che può essere 
                                  maschio o femmina, non si identifica con il 
                                  suo orientamento sessuale. I diritti delle persone 
                                  omosessuali riguardano il loro essere persone 
                                  non il loro essere omosessuali. Le differenze 
                                  di razza, cultura e sesso non sono equiparabili 
                                  alle differenze tra orientamenti sessuali. Per 
                                  questo l’idea che vi possa essere un “reato 
                                  di opinione” sui diritti delle persone 
                                  omosessuali è controversa: «Una 
                                  cosa infatti è offendere o recare vio¬lenza 
                                  agli omosessuali, ben altra cosa è ri¬tenere 
                                  che gli omosessuali siano inadatti all’adozione 
                                  o che l’omosessualità sia una patologia. 
                                  [...] Quando si criminalizzano le opinioni, 
                                  anziché le azioni, si produce l’effetto 
                                  perverso di soffocare il libero di¬battito 
                                  intellettuale, sociale e politico (nel nostro 
                                  caso sui diritti degli omosessuali, se davvero 
                                  tali diritti esistano e su come e¬ventualmente 
                                  possano essere tutelati) e si favorisce l’accettazione, 
                                  passiva e acritica, di idee magari politicamente 
                                  corrette, ma non per questo tali da doversi 
                                  ritenere fon¬date» (F. D’Agostino, 
                                  Si soffoca il civile dibattito se si criminalizzano 
                                  le opinioni anziché le azioni, “Avvenire” 
                                  11 dicembre 2007). Qualcuno ha cercato 
                                  di confutare la precedente argomentazione sostituendo, 
                                  alla parola “omosessuali”, la parola 
                                  “ebrei”. Ma la mossa non funziona. 
                                  Gli ebrei, infatti, godono dei diritti fondamentali 
                                  non in quanto ebrei ma in quanto persone umane. 
                                  Se invece gli ebrei avessero diritti in quanto 
                                  ebrei e non in quanto persone, allora cadremmo 
                                  automaticamente nella discriminazione razziale 
                                  di tutti coloro che, non essendo ebrei, non 
                                  possono godere dei diritti che possiedono solo 
                                  gli ebrei. Se le persone omosessuali vogliono 
                                  vivere insieme possono farlo. Ma se decidono 
                                  di adottare un bambino dovrebbero accettare 
                                  che la società discuta, nell’interesse 
                                  del bambino, l’opportunità di questa 
                                  scelta. Con una norma anti-omofobia questa discussione 
                                  viene chiusa prima ancora di essere aperta, 
                                  criminalizzando gli interlocutori e le loro 
                                  opinioni. Chissà, forse per etero-fobia. 
                                    |  |  |   
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                                Moratoria contro 
                                la pena di morte... e sull’aborto? |   
                            |  
                                Dicembre 
                                  2007. L’Assemblea generale dell’Onu 
                                  ha approvato la risoluzione per la moratoria 
                                  contro la pena di morte nel mondo con 104 voti 
                                  a favore, 54 contro e 29 astenuti. La risoluzione 
                                  è stata approvata alle 11.45, ora di 
                                  New York. È stato un successo del partito 
                                  pro-moratoria che ha conquistato 5 voti in più 
                                  rispetto al pronunciamento della terza Commissione 
                                  in novembre. A metà novembre il voto 
                                  alla III Commissione dell’Onu aveva visto 
                                  99 paesi favorevoli (due più del quorum 
                                  di 97), 52 contrari e 33 astenuti. Il fronte 
                                  del no, in quell’occasione come oggi, 
                                  è stato guidato dall’Egitto, supportato 
                                  da Singapore, Sudan e Iran, anche se i pilastri 
                                  del fronte dei "Friends of Death Penalty" 
                                  restano Usa e Cina. Nonostante gli Stati Uniti 
                                  abbiano votato contro, gli analisti fanno notare 
                                  che anche Oltreoceano il vento sta cominciando 
                                  a cambiare, citando come prova la decisione 
                                  dello Stato del New Jersey di abolire per legge 
                                  la pena capitale. La Russia ha invece votato 
                                  a favore della risoluzione per la moratoria 
                                  universale. In 51 Paesi le esecuzioni capitali 
                                  sono legge. Tra questi 11 sono democrazie liberali. 
                                  In Iran tra i giustiziati anche i minorenni 
                                  (Notizia ripresa da http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200712articoli/28577girata.asp). |   
                            |  
                                Sulla 
                                  scia dell’unanime entusiasmo dell’opinione 
                                  pubblica alla notizia della moratoria sulla 
                                  pena capitale, in un editoriale intitolato Appello, 
                                  ora la moratoria per l’aborto su “Il 
                                  Foglio” del 19 dicembre, Giuliano Ferrara 
                                  ha lanciato la proposta di una moratoria sull’aborto. 
                                  1 miliardo i bimbi morti dall'introduzione della 
                                  prima legge sull'interruzione volontaria della 
                                  gravidanza in Urss nel 1920, 130.033 gli aborti 
                                  dell'anno scorso in Italia 54 milioni gli aborti 
                                  effettuati ogni anno nel mondo, 234.801 gli 
                                  aborti in Italia nel 1982, l'anno in cui si 
                                  raggiunse il picco delle interruzioni volontarie. 
                                  Riportiamo la quasi totalità dell’editoriale 
                                  di Ferrara: «Questo è un appello 
                                  alle buone coscienze che gioiscono per la moratoria 
                                  sulla pena di morte nel mondo, votata ieri all'Onu 
                                  da 104 paesi. Rallegriamoci, e facciamo una 
                                  moratoria per gli aborti. Infatti per ogni pena 
                                  di morte comminata a un essere umano vivente 
                                  ci sono mille, diecimila, centomila, milioni 
                                  di aborti comminati a esseri umani viventi, 
                                  [...] in nome di una schizofrenica e grottesca 
                                  ideologia della salute della Donna, che con 
                                  la donna in carne e ossa e con la sua speranza 
                                  di salute e di salvezza non ha niente a che 
                                  vedere, alla mannaia dell’asportazione 
                                  chirurgica o a quella del veleno farmacologico 
                                  via pillola Ru486. [...] La pena di morte per 
                                  la cui virtuale moratoria ci si rallegra oggi 
                                  è di due tipi: conseguente a un giusto 
                                  processo o a sentenze di giustizia tribale, 
                                  compresa la sharia. Sono due cose diverse, ovviamente. 
                                  Ma la nostra buona coscienza ci induce a complimentarci 
                                  con noi stessi perché non facciamo differenze, 
                                  e condanniamo in linea di principio la soppressione 
                                  legale di un essere umano senza guardare ai 
                                  suoi motivi, che in qualche caso, in molti casi, 
                                  sono l’aver inflitto la morte ad altri. 
                                  Bene, anzi male. Il miliardo e più di 
                                  aborti praticati da quando le legislazioni permettono 
                                  la famosa interruzione volontaria della gravidanza 
                                  riguarda persone legalmente innocenti, create 
                                  e distrutte dal mero potere del desiderio, desiderio 
                                  di aver figli e di amare o desiderio di non 
                                  averli e di odiarsi fino al punto di amputarsi 
                                  dell’amore. E' lo scandalo supremo del 
                                  nostro tempo [...]. Rallegriamoci dunque, in 
                                  alto i cuori, e dopo aver promosso la Piccola 
                                  Moratoria promuoviamo la Grande Moratoria della 
                                  strage degli innocenti. Si accettano irrisioni, 
                                  perché le buone coscienze sonno usare 
                                  l'arma del sarcasmo meglio delle cattive, ma 
                                  anche adesioni o un appello che parla da solo, 
                                  illuministicamente, con l'evidenza assoluta 
                                  dei fatti di esperienza e di ragione». |  |  |   
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                                Italia: si accende 
                                il dibattito sull’aborto e sulla legge 194 |   
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                                Dicembre 
                                  2007. La proposta di moratoria contro l’aborto 
                                  lanciata dalle pagine del “Foglio” 
                                  da Giuliano Ferrara ha acceso il dibattito sull’aborto 
                                  e sulla legge 194, che regolamenta, dall’ormai 
                                  lontano 1978, le interruzioni di gravidanza 
                                  in Italia. Tra le varie posizioni troviamo quella 
                                  di chi sostiene che la legge 194 è una 
                                  “conquista di civiltà”, perché 
                                  ha consentito alle donne di scegliere liberamente 
                                  sul proprio corpo, e quella di chi ritiene, 
                                  invece, che la legge 194 non è mai stata 
                                  una legge “abortista”, prevedendo 
                                  l’aborto solo come soluzione estrema di 
                                  fronte a pericolo per la salute fisica o psichica 
                                  della gestante (art. 6). Da qui la proposta, 
                                  da parte dei primi, di “non toccare” 
                                  la 194, da parte dei secondi di applicarla integralmente 
                                  anche e soprattutto nella sua fase preventiva 
                                  (art. 2 comma d). Una terza posizione, invece, 
                                  ritiene la legge 194 una legge gravemente iniqua, 
                                  perché legittima l’uccisione di 
                                  un essere umano, fragile e indifeso come è 
                                  il bambino non ancora nato. Questa terza posizione 
                                  condivide le strategie politiche della seconda, 
                                  finalizzate ad applicare la legge 194 in senso 
                                  non abortista, ma aggiunge che, nel fare ciò, 
                                  bisogna dichiarare con fermezza e convinzione 
                                  che una legge che autorizza l’uccisione 
                                  dei bambini non ancora nati è una legge 
                                  gravemente iniqua. E una legge gravemente iniqua, 
                                  anche se bene applicata, non può mai 
                                  diventare una “buona” legge, come 
                                  pure pensano alcuni sostenitori della seconda 
                                  posizione.  |   
                            |  
                                È 
                                  innegabile costatare che l'aborto non è 
                                  affatto «una scelta privata della persona», 
                                  perché coinvolge tragicamente la vita 
                                  di un soggetto di diritto del tutto indifeso. 
                                  L'aborto è la soppressione cruenta ed 
                                  omicida, l'uccisione ovvero l’assassinio, 
                                  di un individuo umano che non è ingiusto 
                                  aggressore, non è in condizioni di nuocere, 
                                  non porta su di sé nessuna responsabilità 
                                  giuridica o morale. Tale uccisione è 
                                  oltretutto perpetrata senza che alla vittima 
                                  sia consentito di difendersi. Se suscita un 
                                  moto spontaneo di commozione la visione delle 
                                  immagini delle ultime ore di un condannato alla 
                                  sedia elettrica, almeno uguale dovrebbe essere 
                                  l'indignazione di Amnesty International di fronte 
                                  alle immagini del «Grido silenzioso», 
                                  il documentario che mostra gli ultimi istanti 
                                  di vita di un feto che viene dilaniato dagli 
                                  strumenti del medico abortista. La distinzione 
                                  tra «uomini già nati e non ancora 
                                  nati» è un clamoroso esempio di 
                                  discriminazione tra persone, che sorprende ascoltare 
                                  sulla bocca di chi sostiene di battersi contro 
                                  ogni razzismo e "discriminazione". 
                                  Esiste poi un'altra sconcertante contraddizione 
                                  nel variegato movimento contrario alla pena 
                                  capitale. Al suo interno, molti ritengono che 
                                  l'aborto legale sia lecito perché voluto 
                                  dalla maggioranza della popolazione. Ma se questi 
                                  sono i parametri per definire una legge giusta, 
                                  allora si dovrebbe riconoscere che negli USA, 
                                  ed in molti altri paesi del pianeta, la maggioranza 
                                  della popolazione è favorevole alla pena 
                                  capitale (Ripreso da Julius di Lucedio 
                                  su http://www.legnostorto.com/). Ma 
                                  come si è arrivati a legalizzare l’aborto 
                                  in Italia? Riportiamo alcuni brani tratti da 
                                  A. Socci, Con quale “balla” 
                                  propagandistica si ottenne la legalizzazione 
                                  dell’aborto in Italia, “Libero” 
                                  6 gennaio 2008. «Secondo la proposta 
                                  di legalizzazione fatta dal Psi al Senato nel 
                                  1971 erano ogni anno dai 2 ai 3 milioni gli 
                                  aborti clandestini con circa 20 mila donne morte 
                                  (nell’analogo progetto presentato alla 
                                  Camera le morti lievitavano inspiegabilmente 
                                  a 25 mila). Sui giornali le cifre oscillavano 
                                  in modo abnorme: il “Corriere della sera” 
                                  del 10 settembre 1976 per esempio dava da 1,5 
                                  a 3 milioni di aborti clandestini l’anno. 
                                  E “Il Giorno” del 7 settembre 1972 
                                  da 3 a 4 milioni l’anno. In sostanza si 
                                  davano i numeri (da 1,5 a 4 milioni), del tutto 
                                  incontrollati e mai provati. Ma questa ossessiva 
                                  campagna produsse la sensazione dell’emergenza 
                                  nazionale e fece passare la legge 194. Eppure 
                                  bastava qualche piccolo accertamento per scoprire 
                                  la verità. Secondo calcoli fatti da statistici 
                                  ipotizzando 3 (o addirittura 4) milioni di aborti 
                                  clandestini l’anno ne derivava un tasso 
                                  medio di abortività in base al quale 
                                  – alla fine - “tutte le donne italiane 
                                  avrebbero praticato nella loro vita almeno 8 
                                  aborti procurati clandestini” (Palmaro). 
                                  Uno scenario ovviamente assurdo. Che i “milioni 
                                  di aborti clandestini” ogni anno fossero 
                                  un argomento totalmente infondato, è 
                                  provato, in modo indiscutibile, oggi, dai dati 
                                  ufficiali sugli aborti legali in Italia, fermi 
                                  attorno ai 130 mila l’anno (dal 1978 hanno 
                                  raggiunto al massimo la cifra di 240 mila all’anno, 
                                  ma attestandosi subito molto al di sotto dei 
                                  200 mila). Se questo è il numero delle 
                                  donne che interrompono la gravidanza oggi che 
                                  l’aborto è facile, legale e assistito, 
                                  in qualunque ospedale, e addirittura propagandato, 
                                  è ovvio che dovevano essere un numero 
                                  molto inferiore a praticarlo quando era illegale, 
                                  si rischiava il carcere, la faccia e la pelle, 
                                  ed era difficile trovare le “mammane” 
                                  che lo praticassero. Ma passiamo al cuore del 
                                  problema. L’aborto clandestino – 
                                  dicevano – provocava ogni anno in Italia 
                                  la morte di 25 mila donne. Per questo fu reso 
                                  legale e assistito. Ma era vero quel dato? [...] 
                                  Dall’Annuario Statistico del 1974 risulta 
                                  che le donne in età feconda (cioè 
                                  dai 15 ai 45 anni) decedute nell’anno 
                                  1972, cioè prima della legge 194, furono 
                                  in tutto 15.116. Già il fatto che le 
                                  morti totali siano la metà delle presunte 
                                  morti per aborto parla chiaro. Ma poi si scopre 
                                  che di quelle 15 mila solo 409 risultavano morte 
                                  di gravidanza o parto. Naturalmente fra tutte 
                                  le morti “per gravidanza o parto” 
                                  quelle dovute ad aborto clandestino erano una 
                                  piccola parte: qualche decina ogni anno. Una 
                                  cifra certo triste (umanamente anche una singola 
                                  morte è una tragedia), ma non una emergenza 
                                  nazionale. Erano molto più rilevanti, 
                                  per capirci, le altre cause di decesso delle 
                                  donne come le morti per parto, per infortuni 
                                  domestici, per incidenti o per omicidio. Le 
                                  cifre che abbiamo visto per l’anno 1972 
                                  risultano costanti. Infatti nel 1969 le donne 
                                  morte in età fertile per complicazioni 
                                  da gravidanza, parto e puerperio furono in totale 
                                  550 (Annuario statistico italiano, 1971); 481 
                                  nel 1970 (Annuario 1972); 460 nel 1971 (Annuario 
                                  1973); 370 nel 1973 (Annuario 1975). E ogni 
                                  anno le vittime dell’aborto clandestino 
                                  erano poche unità. [...] dall’entrata in vigore della legge 
                                  194 la mortalità delle donne in età 
                                  feconda, non ha avuto alcuna significativa diminuzione 
                                  statistica improvvisa, quindi la 194 non ha 
                                  modificato alcunché. [...] In realtà 
                                  non ha portato neanche alla sparizione dell’aborto 
                                  clandestino. Infatti sull’ “Espresso” 
                                  del 10 novembre 2005, Chiara Valentini scrive 
                                  che la relazione del ministro della Salute nell’anno 
                                  2005 stima circa in 20 mila gli aborti clandestini. 
                                  E la stessa cifra è ribadita dal demografo 
                                  Massimo Livi Bacci. Dunque la 194 è clamorosamente 
                                  fallita: non ha estirpato neanche la piaga della 
                                  clandestinità. E lo stesso fenomeno è 
                                  accaduto in Gran Bretagna, nei Paesi Scandinavi, 
                                  in Germania, Giappone, Russia Polonia, Romania 
                                  e via dicendo. Ma se la 194 non ha cancellato 
                                  l’aborto clandestino – a 30 anni 
                                  dalla sua approvazione – cos’ha 
                                  prodotto? Rendere legale, facile, assistito 
                                  e gratuito l’aborto può solo banalizzarlo 
                                  e moltiplicarlo. E così è stato. 
                                  Da 20-30 mila clandestini a 150-200 mila legali. 
                                  Due ricercatori dell’Università 
                                  di Trento, Erminio Guis e Donatella Cavanna 
                                  (“Maternità negata”, Milano 
                                  1988) hanno scoperto che il 32 per cento delle 
                                  donne che hanno abortito non l’avrebbe 
                                  fatto se non ci fosse stata la legge 194 a permetterlo. 
                                  Quindi migliaia di aborti che – in mancanza 
                                  della 194 – sarebbero stati evitati. “Risultati 
                                  del tutto analoghi” aggiunge Mario Palmaro 
                                  “sono stati condotti in Francia. Il significato 
                                  di questi dati è evidente: la legge incide 
                                  in modo decisivo sui comportamenti”. E’ 
                                  vero che c’è stata una relativa 
                                  diminuzione degli aborti legali dal 1978 ad 
                                  oggi, ma intanto bisogna considerare la diffusione 
                                  di abortivi chimici. In secondo luogo il fenomeno 
                                  è tutto italiano ed è dovuto a 
                                  una forte sensibilizzazione sui temi della vita 
                                  fatta dalla Chiesa italiana (basti dire che 
                                  i Centri di aiuto alla vita, anche concretamente, 
                                  hanno salvato circa 80 mila bambini e altrettante 
                                  mamme). Infatti negli altri Paesi europei, come 
                                  Francia e Inghilterra, dove la presenza cattolica 
                                  (e la cultura della vita) è irrilevante, 
                                  gli aborti legali non sono in discesa, ma semmai 
                                  in salita. Infine 30 anni fa si costruì 
                                  un’assordante campagna sulle “morti 
                                  per aborto clandestino”, ma perché 
                                  oggi non si parla delle morti per aborto praticato 
                                  legalmente e assistito? Perché tanto 
                                  silenzio sulle morti che hanno fatto clamore 
                                  in America in relazione alla pillola abortiva 
                                  (New York Times, 23.11.2005)? La sorte delle 
                                  donne non interessa più?
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                                Italia: Regione 
                                Lombardia: niente interruzioni di gravidanza dopo 
                                le 22 settimane e 3 giorni  |   
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                                Gennaio 
                                  2008. Stop agli aborti dopo le 22 settimane 
                                  e 3 giorni e più risorse (per 8 milioni 
                                  di euro) ai consultori pubblici e accreditati 
                                  per fornire alle donne in difficoltà 
                                  per una gravidanza l’opportunità 
                                  di un sostegno plurispecialistico (medico, psicologico 
                                  e sociale) che favorisca la rimozione degli 
                                  ostacoli alla nascita del bambino. Sono le misure 
                                  adottate dalla Regione Lombardia per dare attuazione 
                                  alla legge 194 illustrate ieri dal governatore 
                                  Roberto Formigoni. |   
                            |  
                                Dalla 
                                  comunità scientifica sono venute le conferme 
                                  alla scelta della politica regiona-le: «L’atto 
                                  di indirizzo – ha detto Alessan¬dra 
                                  Kustermann, responsabile del Servizio diagnosi 
                                  prenatale della Mangiagalli e di Milano – 
                                  rappresenta un passo avanti nel¬la attuazione 
                                  della legge 194: le donne non desiderano abortire 
                                  ma essere aiutate». E sottolinea che «non 
                                  è vero che quando vie¬ne diagnosticata 
                                  un’anomalia, la strada ver¬so l’aborto 
                                  è obbligata: da noi in Mangia¬galli 
                                  – ha puntualizzato la Kustermann – 
                                  se una donna sceglie di interrompere la gra¬vidanza, 
                                  altre quattro preferiscono conti-nuarla, se 
                                  sono proposti percorsi assisten¬ziali multidisciplinari 
                                  adeguati». Favorevole all’atto di 
                                  indirizzo regionale è anche Fabio Mosca, 
                                  direttore della Neonatologia e terapia in¬tensiva 
                                  neonatale della stessa clinica milanese: «Il 
                                  limite alla vita autonoma del feto che la legge 
                                  non indica e che trent’anni fa era forse 
                                  di 25-24 settimane, ora è all’inizio 
                                  della 23ª» (E. Negrotti, 
                                  Lombardia, segnali a favore della vita, “Avvenire” 
                                  23 gennaio 2008). |  |  |   
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                                Italia: lettera 
                                all’ONU per moratoria sull’aborto |   
                            |  
                                Gennaio 
                                  2008. Prosegue la campagna per la moratoria 
                                  internazionale sull’aborto sottoscritta 
                                  da diverse personalità del mondo scientifico, 
                                  culturale e giuridico in Europa e negli Stati 
                                  Uniti. Martedì sul quotidiano “Il 
                                  Foglio” è stata infatti pubblicata 
                                  una lettera di Giuliano Ferrara indirizzata 
                                  al Segretario generale dell'Organizzazione delle 
                                  Nazioni Unite, Ban Ki-moon, contenente un appello 
                                  in difesa della vita. Pubblichiamo, a seguire, 
                                  il testo della lettera in inglese e l’elenco 
                                  di alcuni dei firmatari. |   
                            |  
                                Dear 
                                  Dr Ban Ki-Moon Secretary General of the United Nations
 Dear 
                                  Honourable Prime Ministers and Heads of State 
                                  of the United Nations Over 
                                  the last 60 years, notable measures have been 
                                  adopted and efforts made to strengthen the legal 
                                  framework designed to ensure the ideals expressed 
                                  in the Universal Declaration of Human Rights 
                                  that was approved in Paris on 10 December 1948. 
                                  Over the last thirty years, more than a billion 
                                  abortions have been performed, at an average 
                                  of roughly 50 million a year. According to the 
                                  latest report by the United Nations Population 
                                  Fund, in China, tens of millions of unborn children 
                                  are in danger of being aborted - through incentives 
                                  or coercion - in the name of family planning 
                                  and national demographics. In India, millions 
                                  of babies have been eliminated prior to birth 
                                  over the last 20 years for sexist reasons. In 
                                  Asia, the demographic balance is threatened 
                                  by mass infanticide, which is taking on extraordinary 
                                  proportions. In North Korea, the use of selective 
                                  abortion is leading to a radical way of eliminating 
                                  all forms of disability. In the western world, 
                                  abortion has also become the tool of a new form 
                                  of eugenics that is violating the rights of 
                                  unborn children and equality among mankind. 
                                  Originally, prenatal diagnosis was designed 
                                  to help people prepare and care for their unborn 
                                  children, but it is becoming a way a improving 
                                  the human race and, in doing so, destroying 
                                  the universalistic ideals that underlie the 
                                  Universal Declaration of 1948. We are calling on you to look at our request 
                                  for a moratorium on public policies that encourage 
                                  any form of unjustified or selective enslavement 
                                  of a human being in the womb through the arbitrary 
                                  use of the power to annihilate, which violates 
                                  the right to birth and to motherhood. Article 
                                  3 of the Universal Declaration states that "Everyone 
                                  has the right to life, liberty and security 
                                  of person". We are calling on the representatives 
                                  of national governments to back a key amendment 
                                  to this part of the declaration, by adding in, 
                                  after the first comma, the words "from 
                                  conception to natural death". Indeed, the 
                                  Universal Declaration refers to "equal 
                                  and inalienable" human rights and solemnly 
                                  proclaims the "inherent dignity...of all 
                                  members of the human family" (Preamble). 
                                  Science has shown us - and some of the major 
                                  discoveries in the field of genetics come after 
                                  the declaration - the irrefutable presence from 
                                  the first stage of development of the human 
                                  genetic pattern in the embryo, a pattern that 
                                  is unique and unrepeatable. In 1984, the Warnock 
                                  Commission in the UK determined that 14 days 
                                  after conception an embryo is not only a human 
                                  being, but also entitled to the right not to 
                                  be used for experimental purposes.
 Governments must preserve and protect these 
                                  natural rights, which include "the right 
                                  to inherit a genetic pattern which has not been 
                                  artificially changed".
 The 1948 Declaration was the response by the 
                                  free world and international law to the crimes 
                                  against humanity that had been prosecuted at 
                                  Nuremberg three years earlier. In 1948, in response 
                                  to the eugenic practices of the Nazis, the World 
                                  Medical Association adopted the Declaration 
                                  of Geneva, which stated: "I will maintain 
                                  the utmost respect for human life from its beginning". 
                                  Article 6 of the United Nations' International 
                                  Covenant on Civil and Political Rights (1966) 
                                  sets out that "Every human being has the 
                                  inherent right to life". Today, selective 
                                  abortion and selective in vitro engineering 
                                  are the main ways in which eugenic, racial and 
                                  sexual discrimination are perpetrated against 
                                  human beings. These are the same human being 
                                  who are protected by article 6 of the United 
                                  Nations charter of rights. Sixty years on from 
                                  the Universal Declaration of Human Rights it 
                                  is necessary to renew the primary basis of our 
                                  humanitarian inspiration through an amendment 
                                  to article 3. As such, we call on all governments 
                                  to truly ensure the respect of the rights of 
                                  people, including above all the right to life.
 Yours faithfully  René Girard, anthropologist 
                                  member of Académie française,Lord David Alton, member of the House of Lords
 Roger Scruton, British philosopher at Birbeck 
                                  College
 John Haldane, Philosphy professor at St. Andrews 
                                  University
 George Weigel, biographer of Karol Wojtyla and 
                                  Joseph Ratzinger
 Robert Spaemann, Philosophy professor emeritus 
                                  at Universität of Munich
 Sister Nirmala Joshi, General mother superior 
                                  of Missionaries of Charity
 Paolo Carozza, member of Inter-American Commission 
                                  for Human rights
 Josephine Quintavalle, director of Comment on 
                                  Reproductive Ethics
 Paola Bonzi, Center for life help at Mangiagalli 
                                  Clinic of Milan
 Pierre Mertens, president of the International 
                                  Federation for Spina Bifida, Jean-Marie Le Mené, 
                                  president of Fondation Jérôme Lejeune
 Alan Craig, president of British Christian Peoples 
                                  Alliance
 Richard John Neuhaus, chief editor of di First 
                                  Things
 Carlo Casini, president of Movimento per la 
                                  vita Italy
 Lucetta Scaraffia, professor of history at Università 
                                  La Sapienza di Roma
 Bobby Schindler, Terri Schiavo’s brother
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