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SAN TOMMASO D'AQUINO

 

SULLA LEGGE

 

SOMMA TEOLOGICA

PRIMA SECUNDAE (I-II)

(Trad. Giuseppina D'Addelfio)

QUAESTIO 105

Sulla natura dei precetti giudiziali

ARTICOLO 4

 

La legge antica diede in maniera appropriata precetti riguardo alle persone della famiglia?

 

 

Circa il quarto punto procediamo così. Sembra che la legge antica abbia dato in maniera non appropriata dei precetti circa le persone della famiglia. Infatti come dice il Filosofo nella Politica (1, 2), «schiavo è ciò che è del padrone». Ma ciò che è di qualcun’altro, deve essere suo in eterno. Dunque in modo non appropriato si comandò nell’Esodo (21, 2) che gli schiavi venissero rimessi in libertà nel settimo anno.

 

2. Inoltre, uno schiavo è possesso del padrone, come qualsiasi animale, come un asino o un bue. Ma, nel Deuteronomio si comanda di riportare al padrone animali che si trovano erranti (22, 1-3). In maniera inappropriata dunque nello stesso libro della Scrittura si comanda che «Non consegnerai lo schiavo, che si è rifugiato da te, al suo padrone» (23, 15).

 

3. Inoltre, la legge divina, più della legge umana, deve suscitare misericordia. Ma in base alle leggi umani e sono puniti gravemente coloro che castigano con troppa durezza gli schiavi o le ancelle. Ora il castigo più duro sembra essere quello che causa la morte. In maniera inappropriata dunque si stabilisce nell'Esodo (21, 20) che «quando un uomo colpisce con il bastone il suo schiavo o la sua schiava, se sopravvive un giorno o due, non subirà alcuna pena, perché è denaro suo».

 

4. Inoltre, il dominio del padrone sullo schiavo è diverso da quello del padre sul figlio, come dice Aristotele (Pol. 1, 5 e 3, 4). Ora, il dominio che il padrone ha sugli schiavi implica che possa vendere un servo o un'ancella. In maniera inappropriata dunque la legge permise che qualcuno potesse vendere sua figlia come schiava o come ancella [Es. 21, 7].

 

5. Inoltre, il padre ha il figlio in suo potere. Ora, punire gli abusi spetta a chi ha il potere su chi sbaglia. In maniera non appropriata dunque si comanda che il padre porti il figlio dinanzi agli anziani della città, per farlo punire [Deut. 21, 18 e ss].

 

6. Inoltre, il Signore proibì che si facessero matrimoni con gli stranieri [Deut. 7, 3] e anche che si rompessero quelli già contratti [Esd. 1, 10]. In maniera non appropriata dunque si concesse agli ebrei di prendere in moglie donne straniere [Deut. 21, 10].

 

7. Inoltre, il signore stabilì che nei matrimoni si dovessero evitare certi gradi di consanguineità e di familiarità [Lev. 18]. In maniera non appropriata dunque si comandò che se uno fosse morto senza figli, il fratello avrebbe preso in sposa sua moglie [Deut. 25, 5].

 

8. Inoltre, tra marito e moglie, come vi è la massima familiarità, così deve esserci una fedeltà fermissima. Ma ciò è impossibile, se è il matrimonio può sciogliersi. In maniera non appropriata dunque il Signore permise che qualcuno potesse ripudiare la moglie, dopo avere redatto il libello del ripudio, e diede l'ordine di non poterla più riavere [Deut. 24, 1-4].

 

9. Inoltre, così come la moglie può mancare di fedeltà al marito, allo stesso modo può fare lo schiavo rispetto al padrone, e il figlio rispetto al padre. Ma, per scoprire il tradimento dello schiavo verso il padrone, o del figlio verso il padre, non fu istituito nella legge alcun sacrificio. Sembra pertanto che sia stato istituito in maniera superflua il sacrificio di gelosia, istituito per scoprire l'adulterio delle mogli [Num. 5, 12 e ss.]. Così dunque sembra che, nella legge, in maniera non appropriata, sono stati dati precetti giudiziali sulla vita delle persone della famiglia.

 

Ma di contro vi è quello che si dice nel Salmo 18 (10): «I giudizi del Signore sono veri, giustificati in se stessi».

 

Rispondo dicendo che la convivenza delle persone della famiglia tra di loro è basata sulle azioni quotidiane, le quali sono ordinate ad assicurare le necessità della vita, come dice il Filosofo nella Politica (1, 1). O ora, la vita dell'uomo si conserva in due modi. Primo, rispetto all'individuo, cioè in quanto vive l'uomo singolo: per conservare tale vita l'uomo fa uso di beni esterni, dai quali ricava il vitto, le vesti, e a altre cose del genere necessari alla vita; inoltre, per amministrare codesti beni l'uomo può avere bisogno di servi. In un altro modo alla vita dell'uomo si conserva nella specie mediante la generazione: per questo l'uomo ha bisogno di una moglie, dalla quale generare dei figli. Così dunque, nella comunità domestica possono esservi tre tipi di rapporti: quello tra padrone e schiavo, quello tra marito e moglie, quello tra padre e figlio. Rispetto a ciascuno di questi rapporti, la legge antica diede precetti adeguati.

Infatti, quanto ai servi, la legge stabilì che venissero trattati con bontà e, quando i loro lavori, che non fossero oppressi con lavori eccessivi; infatti il Signore comandò che, nel giorno di sabato, «Riposino come te il tuo schiavo e la tua ancella». Lo stesso si dica per i castighi: il Signore impose come punizione, a chi avesse mutilato i propri schiavi, di lasciarli liberi. La stessa cosa comandava per la schiava che uno avesse preso in moglie [Es. 21, 26 e ss.]. – Stabilì anche che, specialmente per gli schiavi che provenivano dal popolo, fosse rispettato il settimo anno e che dunque tornassero liberi, con tutte le cose che avevano portato con sé e con le loro vesti. [Es. 21, 2]. Comandò inoltre di dare loro il necessario per il viaggio [Deut. 15, 13 e ss.].

Quanto alle mogli, venivano stabilite nella legge delle norme relative alla loro scelta: che essi prendessero mogli della propria tribù (perché i lotti assegnati alle varie tribù non si mescolassero) [Num. 36]; che si sposasse la moglie del proprio fratello morto senza prole (e questo perché chi non aveva avuto dei posteri per generazione carnale, gli avesse almeno per una specie di adozione e quindi non venisse completamente cancellata la memoria del defunto) [Deut. 25, 5 e ss.]. La legge proibì inoltre di sposare determinate persone: gente straniera, per il pericolo di lasciarsi sedurre; parenti stretti, per il rispetto naturale che ad essi si deve. – Stabilì anche come dovevano essere trattate le mogli dopo le nozze. Stabilì cioè che non si infamassero con leggerezza; di conseguenza viene comandato nella legge di punire colui che avesse accusato falsamente di un delitto la propria moglie [Deut. 22, 13]. E anche che a causa dell'odio verso la moglie, il figlio non doveva partire  alcun danno [Deut. 21, 15]. Stabilì inoltre di non affliggere la moglie a causa dell'odio che si prova verso di lei, ma piuttosto, redatto il libello, di ripudiarla [Deut. 24, 1]. E anche per suscitare sin dall'inizio un amore più forte tra i coniugi, la legge stabiliva che quando uno si era sposato da poco, non gli venisse imposto alcun onere per le necessità pubbliche, affinché potesse stare lieto con sua moglie.

Infine, quanto i figli, la legge stabilì che il padre usasse disciplina nei loro confronti, istruendoli nella fede; si dice infatti nell’Esodo (12, 26 e ss.): «ma allora i vostri figli vi chiederanno: che significa questo atto di culto? Voi direte loro: è il sacrificio per il passaggio del Signore». La legge stabilì poi che il padre li istruisse anche nei costumi; si dice infatti nel Deuteronomio (21, 20) che i padri devono dire: «Non vuole obbedire alla nostra voce, si dà ai bagordi, ai piaceri e ai conviti».

 

Risposta al primo argomento: poiché i figli d'Israele erano stati liberati dalla schiavitù dalla Signore e, per questo, chiamati al servizio divino, allora il Signore non volle che fossero servi in eterno; si dice infatti nel Levitico (25, 39 e ss.): «Se tuo fratello cade in miseria e si vende a te, non opprimerlo con la servitù degli schiavi della tua casa, ma quasi come un lavorante o un colono sia presso di te. Poiché essi sono miei servi, che io ho fatto uscire dal paese d'Egitto, non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi».Perciò essi, non essendo schiavi in senso assoluto, ma relativo, finito il tempo, venivano lasciati liberi.

 

Risposta al secondo argomento: quel precetto va inteso in riferimento allo schiavo che il padrone cercava per ucciderlo, o per compiere qualche misfatto.

 

Risposta al terzo argomento: riguardo alle ferite inferte agli schiavi, la legge sembra volesse considerare se la ferita fosse certa o incerta. Se infatti la ferita fosse stata certa, la legge prevedeva una pena: a causa della mutilazione, la remissione del servo, al quale si comandava di donare le libertà; a causa di un'uccisione invece, la pena prevista era l'omicidio, nel caso in cui lo schiavo fosse morto tra le mani del padrone che lo picchiava. – Se, invece, la lesione non fosse stata certa, ma ve ne fosse stata una qualche apparenza, trattandosi del proprio schiavo, la legge non infliggeva alcuna pena: ad esempio, quando lo schiavo percosso non moriva subito, ma dopo alcuni giorni. In questo caso infatti non era certo che fosse morto per le percosse. D'altra parte, se uno avesse percosso un uomo libero, il quale non fosse morto subito, ma avesse potuto camminare ancora con il bastone, anche se in seguito fosse morto, colui che lo aveva picchiato non sarebbe stato considerato colpevole di omicidio. Tuttavia era tenuto a restituire il denaro che aveva speso per curarsi. Questo invece non avveniva trattandosi del proprio schiavo, dal momento che quanto lo schiavo possedeva, e la sua stessa persona, era possesso del padrone. Ecco stabilito il motivo per il quale veniva esonerato dalla pena pecuniaria, «perché è denaro suo».

 

Risposta al quarto argomento: come è stato detto poc'anzi, nessun ebreo poteva possedere quale vero schiavo un altro ebreo, ma costui era schiavo in senso lato, quasi come un mercenario e per un tempo stabilito. Per questo, la legge permetteva di vendere il figlio o la figlia, qualora costretti da povertà. Le stesse parole della legge lo mostrano: «Se qualcuno venderà sua figlia come schiava, essa diventerà poi libera, ma non alla maniera delle altre ancelle». In tal modo, poi, qualcuno poteva vendere non solo i figli ma anche se stesso, cioè più come mercenario, un lavoratore, che come servo; dice infatti il Levitico (25, 39): «Se tuo fratello cade in miseria e si vende a te, non opprimerlo con la servitù degli schiavi della tua casa, ma quasi come un lavorante o un colono sia presso di te».

 

Risposta al quinto argomento: il dominio paterno ha solo il potere di ammonire, non ha invece la forza coattiva, per reprimere i ribelli e gli incorreggibili, come dice Aristotele (Eth. Nic. 10, 9). E perciò, in questo caso, la legge comandava che il figlio incorreggibile e ostinato fosse punito dai maggiorenti della città.

 

Risposta al sesto argomento: il Signore proibì di sposare donne straniere, per il pericolo di farsi sedurre ed essere indotti all'idolatria. Questa proibizione riguardava specialmente le donne delle genti italiane che abitavano vicino, i cui riti gli ebrei avrebbero potuto abbracciare facilmente. Se invece quella donna voleva abbandonare l'idolatria e passare al culto della legge, allora poteva essere presa in matrimonio, come è evidente dalla caso di Ruth che Booz prese in moglie. Ella stessa infatti aveva detto alla suocera: «Il tuo popolo sarà il mio popolo, il tuo Dio sarà il mio Dio» (Ruth 1, 16). Pertanto la donna catturata non poteva essere prese in moglie se non dopo essersi rasa i capelli, tagliate le unghie, dopo aver abbandonato le vesti con cui era stata presa e dopo aver pianto il padre e la madre: gesti questi attraverso i quali è indicato il rifiuto perpetuo dell'idolatria.

 

Risposta al settimo argomento: come spiega il Crisostomo (Super Matth.), «poiché la morte era considerata un male irrimediabile presso gli Ebrei, che facevano ogni cosa solo per la vita presente, fu stabilito che a chi moriva fosse dato un figlio dal fratello: questo costituiva in qualche modo un rimedio alla morte. Ed era ordinato che nessun altro sposasse la moglie del defunto, se non il fratello o un parente, sia perchè così» il figlio che sarebbe nato da tale unione «non sarebbe stato considerato figlio di colui che era morto, sia perchè un estraneo non avrebbe avvertito la necessità di curarne la casa, per il quale era giusto fare questo anche per un dovere di parentela». Da questo emerge che un uomo, sposando la moglie di suo fratello defunto, assumeva le funzioni di quest’ultimo.

 

Risposta all’ottavo argomento: la legge permise il ripudio della moglie, non perchè fosse giusto in maniera assoluta, bensì a causa della durezza degli ebrei, come disse il Signore (Mt. 19, 8). Ma di questo bisogna parlare più ampiamente trattando del matrimonio.

 

Risposta al nono argomento: le mogli infrangono la fedeltà al matrimonio con l’adulterio e lo fanno facilmente, a causa del piacere; lo fanno inoltre di nascosto, perchè «l’occhio dell’adultero guarda la caligine», come dice la Scrittura (Gb. 24, 15). Diversa è invece la natura dell’infedeltà del figlio verso il padre, o del servo verso lo schiavo, poiché tale infedeltà non viene dal desiderio del piacere, ma piuttosto dalla malizia; né può rimanere nascosta come l’infedeltà della donna adultera.

 

 
     

SULLA LEGGE

SULLA LEGGE IN GENERALE

I-II, q. 90, Sull’essenza della legge

I-II, q. 91, Le diverse leggi

I-II, q. 92, Sugli effetti della legge

SULLE PARTI DELLA LEGGE

Legge eterna

I-II, q. 93, Sulla legge eterna

Legge naturale

I-II, q. 94, Sulla legge naturale

Legge umana

I-II, q. 95, Sulla legge umana in se stessa

I-II, q. 96, Sul potere della legge umana

I-II, q. 97, Sul cambiamento delle leggi

Legge antica

I-II, q. 98, Sulla legge antica

I-II, q. 99, Sulla distinzione dei precetti della legge antica

I-II, q. 100, Sui precetti morali

I-II, q. 101, Sui precetti cerimoniali in se stessi

I-II, q. 102, Sulle cause dei precetti cerimoniali

I-II, q. 103, Sulla durata dei precetti cerimoniali

I-II, q. 104, Sui precetti giudiziali

I-II, q. 105, Sulla natura dei precetti giudiziali

Legge nuova

I-II, q. 106, Sulla legge nuova (che è la legge del Vangelo) in se stessa

I-II, q. 107, Sul confronto tra la legge nuova e la legge antica

I-II, q. 108, Sulle cose che sono contenute nella legge nuova